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Secondaguerra mondiale

La seconda guerra mondiale, il conflitto più cruento della storia (più di 50 milioni di morti, di cui la metà civili), trae origine dai trattati di pace del 1919 (trattato di Versailles), dall'imperialismo di Benito Mussolini legato alle frustrazioni dell'Italia e dalla situazione economica e sociale dovuta alla crisi economica mondiale. Dall'avvento di Adolf Hitler alla cancelleria nel 1933, la Germania si preparò alla guerra, che le avrebbe dovuto assicurare il dominio sull'Europa, uno spazio vitale all'est e la possibilità di imporre la superiorità della razza ariana. La Società delle Nazioni e le democrazie, deboli di fronte agli Stati totalitari (fascismo, nazionalsocialismo), non poterono impedire né l'annessione dell'Austria alla Germania (Anschluss), né la crisi ceca (conferenza di Monaco) nel 1938, né le invasioni della Cecoslovacchia (marzo 1939) e della Polonia (1.9.1939), avvenimento quest'ultimo che segnò l'inizio del conflitto.

L'entrata in guerra dell'Italia (10.6.1940), la sconfitta della Francia (giugno 1940) e l'occupazione tedesca della parte settentrionale del suo territorio sancirono l'accerchiamento quasi totale della Svizzera da parte delle potenze dell'Asse, che divenne completo nell'autunno del 1942 con l'invasione della zona meridionale della Francia. Risparmiata sul piano militare, la Svizzera rimase uno dei pochi Stati di diritto democratici del continente, caratterizzato peraltro dal regime dei pieni poteri. La mobilitazione dell'esercito segnò gli spiriti in maniera durevole, tanto che la generazione di allora usava definirsi la "generazione della mobilitazione". La neutralità, riaffermata in forma solenne, dovette accettare qualche compromesso sul piano economico.

La Svizzera nella seconda guerra mondiale
La Svizzera nella seconda guerra mondiale […]

Dal maggio del 1940 alla primavera del 1942 le potenze totalitarie (Asse Roma-Berlino e Giappone) ebbero in mano le redini della guerra, ma non riuscirono a imporsi in maniera decisiva, dato che la battaglia di Inghilterra (estate 1940) e la campagna di Russia (lanciata nel giugno del 1941) non permisero alla Germania di riportare la vittoria veloce che si aspettava, e che gli Stati Uniti, fino ad allora neutrali, decisero nel dicembre del 1941 di entrare in guerra a seguito dell'attacco giapponese di Pearl Harbor. Dall'estate del 1942 gli Alleati (Inghilterra e Paesi del Commonwealth, Unione Sovietica, Stati Uniti, Francia libera e Cina) ripresero il vantaggio su tutti i fronti (Russia, Pacifico, Africa settentrionale). Dopo lo sbarco in Normandia (6.6.1944), la guerra si avvicinò nuovamente alla Svizzera; l'accerchiamento venne rotto nell'agosto del 1944 con l'arrivo delle truppe statunitensi alla frontiera occidentale svizzera. La capitolazione della Germania (8.5.1945), chiamata comunemente ma erroneamente armistizio, segnò la fine della guerra in Europa. La Svizzera tornò a una situazione di normalità solo dopo la sospensione definitiva del razionamento (1948) e il ripristino completo della democrazia diretta (1949).

La situazione militare

La prima mobilitazione generale

Soldati pronti all'entrata in servizio alla stazione di Ginevra (1939) © KEYSTONE/Photopress.
Soldati pronti all'entrata in servizio alla stazione di Ginevra (1939) © KEYSTONE/Photopress. […]

Nell'agosto del 1939, e in particolare dopo la firma del patto di non aggressione fra Germania e Unione Sovietica (23 agosto), la guerra appariva inevitabile. Ancora prima dell'invasione tedesca della Polonia (1 settembre), il 29 agosto la Svizzera mobilitò le brigate di frontiera e parte delle truppe dell'aviazione e della difesa contraerea. Il 30 agosto l'Assemblea federale elesse Henri Guisan alla carica di generale e Jakob Labhart a quella di capo di Stato maggiore generale (comando supremo). Il Consiglio federale decretò la mobilitazione generale (servizio attivo). Il 3 settembre le potenze occidentali dichiararono guerra alla Germania. Dato che sei-sette divisioni francesi erano stazionate al confine occidentale della Svizzera, lo Stato maggiore generale non poteva escludere a priori un tentativo da parte degli Alleati di condurre un'offensiva di alleggerimento attraverso la Svizzera per occupare la Germania meridionale, priva di truppe. Al fine di assicurare le zone di confine, l'esercito svizzero schierò divisioni di copertura, già in posizione la sera del 4 settembre. Dopo aver sconfitto la Polonia, all'inizio di ottobre la Wehrmacht spostò le proprie formazioni sul fronte occidentale, dove alla fine del mese era attesa un'offensiva contro la Francia. Durante l'inverno 1939-1940 non vi furono invece azioni rilevanti; quel periodo venne così definito drôle de guerre (letteralmente "guerra farsa").

Il generale Guisan diede il via ai lavori di preparazione e di ampliamento che avrebbero reso operativa la cosiddetta posizione della Limmat, finalizzata al rallentamento di un'eventuale avanzata tedesca. Le prime truppe furono licenziate solo alla fine di novembre. Dopo una controversia fra il capo di Stato maggiore generale, Jakob Labhart, e il generale Guisan in merito allo schieramento dell'esercito, il 26 marzo 1940 Guisan nominò Jakob Huber a nuovo capo di Stato maggiore generale. Il generale fece preparare un piano che prevedeva la collaborazione con l'esercito francese in caso di invasione da parte dei Tedeschi; il progetto, di cui era a conoscenza anche il capo del Dipartimento militare federale, Rudolf Minger, fu elaborato nel più assoluto riserbo da ufficiali di collegamento di entrambi i Paesi. Dopo l'occupazione della Francia, i Tedeschi trovarono a Digione (e non a La Charité-sur-Loire, come normalmente affermato) gli atti relativi a questa intesa, che mise in difficoltà la politica di neutralità della Confederazione.

La seconda mobilitazione generale

In seguito all'offensiva ordinata da Hitler contro la Francia, il Belgio, i Paesi Bassi e il Lussemburgo (10.5.1940), il giorno successivo tutti i militari svizzeri congedati vennero richiamati sotto le armi, poiché i capi dell'esercito temevano che la Wehrmacht avrebbe tentato di aggirare le difese francesi, ovvero la linea Maginot, da sud, passando quindi attraverso la Svizzera. Dopo la guerra venne invece appurato che il servizio informazioni aveva creduto a una manovra diversiva tedesca.

Quando il fronte si avvicinò al confine occidentale, Guisan spostò le truppe dalla posizione della Limmat nel Giura, fra Basilea e Ginevra. Da quel momento l'esercito si preoccupò di difendere in uno schieramento chiuso l'intero territorio da eventuali violazioni. Le truppe svizzere non avrebbero però potuto resistere a lungo a un ipotetico attacco in forze. Alla metà di giugno la settima armata tedesca, che aveva superato il Reno superiore, e la Panzergruppe comandata da Heinz Guderian, proveniente dall'altopiano di Langres, attaccarono le forze di difesa francesi dislocate a Belfort. Il quarantacinquesimo corpo francese, con 43'000 soldati, poté consegnare le armi in Svizzera e venne internato (internamento).

"Oggi più che mai". Manifesto pubblicato dal Dipartimento militare federale nel 1940 (Museum für Gestaltung Zürich, Plakatsammlung, Zürcher Hochschule der Künste).
"Oggi più che mai". Manifesto pubblicato dal Dipartimento militare federale nel 1940 (Museum für Gestaltung Zürich, Plakatsammlung, Zürcher Hochschule der Künste). […]

Dopo l'armistizio fra la Francia e la Germania (22.6.1940), la Svizzera, salvo una piccola porzione di territorio sul lago di Ginevra, era interamente circondata dalle potenze dell'Asse. Irritato dall'abbattimento di 12 aeroplani tedeschi su territorio svizzero da parte dell'esercito federale, il 23 giugno Hitler diede l'ordine di allestire un piano di attacco alla Svizzera, che dall'ottobre del 1940 prese il nome di "operazione Tannenbaum"; inoltre fece schierare la dodicesima armata comandata da Wilhelm List al confine occidentale. Secondo il piano, quest'ultima avrebbe dovuto annientare il grosso dell'esercito svizzero nell'Altopiano, mentre gli Italiani avrebbero dovuto conquistare lo spazio alpino. Divergenze di opinione fra Hitler e Mussolini sulla spartizione della Svizzera rallentarono l'operazione. Assorbito dalla battaglia contro la Gran Bretagna e dai suoi piani di conquista di spazio vitale nell'Europa orientale, Hitler rimandò l'ordine di attacco.

Il Consiglio federale e Guisan erano dell'opinione che Hitler, dopo la vittoria sulla Francia, non avesse la necessità di attaccare la Svizzera, peraltro accerchiata, perché poteva esercitare pressioni a livello politico ed economico. Il 6 luglio i militari più anziani vennero quindi congedati. Alla metà di luglio Guisan trasse le prime conseguenze da questa nuova situazione, studiando per l'esercito una nuova disposizione, che si fondava su tre elementi: difesa delle frontiere, battaglia nel Giura e nell'Altopiano per guadagnare tempo, difesa dello spazio centrale del Paese. A questi elementi era legata la minaccia di distruggere le trasversali alpine in caso di attacco. In occasione del rapporto del Grütli (25.7.1940), che riunì tutti i comandanti dell'esercito, Guisan rese pubbliche le sue decisioni. All'inizio di agosto introdusse un sistema di turni che permetteva di avere costantemente 120'000 uomini sotto le armi.

La strategia difensiva

Dopo che nel maggio del 1941 era stata stoccata una quantità sufficiente di provviste per i soldati e la popolazione nello spazio centrale alpino, Guisan decise di ritirare anche la seconda metà delle truppe di campagna nel ridotto nazionale. Dato che i capi dell'esercito ritenevano che le trasversali alpine fossero la principale arma dissuasiva da impugnare contro l'Italia e la Germania, si diede il via ai lavori preparatori che ne avrebbero permesso la distruzione, fra l'altro ponendo mine nelle gallerie ferroviarie (alla fine del 1941, 2043 obiettivi erano pronti a saltare).

L'impegno tedesco nell'Africa settentrionale e la campagna in Europa orientale iniziata nel giugno del 1941 allentarono la pressione sulla Svizzera, in quanto per la Wehrmacht sarebbe stato difficile distaccare le truppe necessarie per la conquista della Svizzera. Dopo le sconfitte tedesche in Africa settentrionale (novembre 1942) e a Stalingrado (febbraio 1943), e l'attacco degli Alleati all'Italia, le SS pianificarono la difesa di una roccaforte in Europa, all'interno della quale la Svizzera avrebbe avuto un ruolo centrale. Questa minaccia originò il cosiddetto "allarme di marzo" del 1943, nato da un annuncio del servizio informazioni che erroneamente dava per imminente un attacco alla Svizzera.

Quando nell'autunno del 1944, dopo lo sbarco degli Alleati in Normandia e nella Provenza, il fronte si avvicinò nuovamente alla Svizzera e la settima armata degli Stati Uniti avanzava lungo il confine occidentale verso Belfort, dove si erano trincerati i Tedeschi, l'imperativo era di evitare sconfinamenti in quella zona di frontiera. Il paventato attraversamento del Reno a sud di Basilea da parte dell'armata francese de Lattre de Tassigny e la sua presunta avanzata verso la Germania meridionale (primavera 1945) imposero il presidio del confine settentrionale.

Anche a sud gli Alleati, sbarcati in Sicilia nel 1943, si avvicinavano alla frontiera svizzera. La caduta di Mussolini, la fuga di migliaia di Italiani in Svizzera e la lotta partigiana nelle immediate vicinanze della frontiera (ad esempio nella Repubblica dell'Ossola nel settembre-ottobre 1944) resero necessaria una forte presenza dell'esercito. Nel marzo e nell'aprile del 1945 il maggiore Max Waibel fece da mediatore alle trattative di capitolazione parziale delle truppe tedesche in Italia, sancita il 2 maggio (operazione Sunrise). La capitolazione della Germania l'8 maggio segnò la fine della guerra in Europa. Il servizio attivo fu prolungato fino al 20 agosto per portare a termine i lavori di sgombero.

Armamento e truppe

Accompagnato da alcuni ufficiali, il generale Guisan ispeziona i lavori di fortificazione a Zurigo nell'inverno del 1939-1940. Fotografia di Hans Staub, apparsa sulla Zürcher Illustrierte 1940, n. 9 (Fotostiftung Schweiz, Winterthur) © Fotostiftung Schweiz.
Accompagnato da alcuni ufficiali, il generale Guisan ispeziona i lavori di fortificazione a Zurigo nell'inverno del 1939-1940. Fotografia di Hans Staub, apparsa sulla Zürcher Illustrierte 1940, n. 9 (Fotostiftung Schweiz, Winterthur) © Fotostiftung Schweiz. […]

All'inizio della guerra l'armamento delle truppe svizzere era lacunoso. Nell'artiglieria mancavano armi pesanti: nel settembre del 1939 l'esercito aveva a disposizione solo 24 carri armati leggeri. Ad eccezione di 38 apparecchi Messerschmitt e di due caccia Morane, l'aviazione poteva contare solo su veivoli datati. L'insufficiente armamento doveva essere compensato con l'ampliamento delle posizioni fortificate sul terreno (fortificazioni). L'equipaggiamento dell'esercito era insoddisfacente anche per quanto riguarda le provviste di materie prime e ausiliarie, che dovettero essere acquistate a caro prezzo durante il conflitto. Fino all'entrata in guerra dell'Italia nel giugno del 1940, le materie prime poterono essere importate dai porti italiani e trasformate in merci d'armamento. Durante la guerra la Svizzera incrementò le proprie dotazioni: fra il 1939 e il 1945 le armi della difesa anticarro passarono da 898 a 5974, le unità della difesa contraerea leggera da 36 a 3365, quelle della difesa contraerea pesante da otto a 274 e i veivoli da combattimento da 216 a 530. Nonostante i miglioramenti, l'armamento rimase lacunoso fino alla fine del conflitto per l'assenza di stabilimenti produttivi.

Il numero dei coscritti, 430'000 nell'agosto del 1939, fu inizialmente ridotto a 220'000 (aprile 1940) e poi nuovamente aumentato a 450'000 (maggio). In seguito la media degli effettivi si aggirò attorno alle 120'000 unità. A sostegno delle attività di retroguardia degli uomini, nell'aprile del 1940 venne creato il servizio complementare femminile volontario (servizio militare femminile), che nel 1940 era composto da 15'000 donne. Le milizie locali, formate da uomini che non avevano l'obbligo di servizio, erano forti di 127'000 membri nel gennaio del 1941.

Mentre nei primi mesi dell'occupazione delle frontiere il morale delle truppe era alto, con il protrarsi del conflitto si manifestarono nei soldati segni di stanchezza, sebbene il servizio, a differenza della prima guerra mondiale, non consistesse più unicamente nella continua ripetizione di esercizi (drill). La predisposizione alla difesa diminuì in maniera proporzionale alla possibilità di coinvolgimento diretto della Svizzera in una guerra. Il ritiro delle truppe nel ridotto a partire dall'estate del 1940, presentato all'opinione pubblica interna ed estera quale segno tangibile della volontà di resistenza del popolo svizzero, rese meno gravoso il compito dell'esercito, in quanto la protezione della zona alpina richiedeva un numero inferiore di truppe rispetto alla sorveglianza delle frontiere. Il sistema dei congedi, introdotto contestualmente, che prevedeva una truppa sempre di stanza e una determinata percentuale di soldati in licenza, permise all'agricoltura e all'industria di ritornare ad avere forza lavoro a sufficienza.

Le conseguenze militari in Svizzera

Una casa distrutta da un bombardamento sulla Limmattalstrasse a Zurigo-Höngg il 22.12.1940. Fotografia di Hermann Schmidli (Ringier Bildarchiv, RBA1-10-16) © Staatsarchiv Aargau / Ringier Bildarchiv.
Una casa distrutta da un bombardamento sulla Limmattalstrasse a Zurigo-Höngg il 22.12.1940. Fotografia di Hermann Schmidli (Ringier Bildarchiv, RBA1-10-16) © Staatsarchiv Aargau / Ringier Bildarchiv. […]

Malgrado la distanza che separò la Svizzera dal fronte della guerra per quattro anni dalla caduta della Francia (giugno 1940), il Paese non fu completamente al riparo dagli eventi bellici. L'intensa guerra aerea che gli Inglesi e gli Statunitensi condussero contro la Germania e l'Italia dall'agosto del 1940 condusse alla ripetuta violazione dello spazio aereo svizzero (6501 episodi): 25 furono gli aerei abbattuti (16 dalle forze aeree e nove dalla difesa contraerea), 191 gli atterraggi di fortuna e 56 gli aerei precipitati. Nel novembre del 1940 venne introdotto l'oscuramento. Il territorio svizzero fu bombardato in 77 occasioni, causando 84 morti. L'episodio più grave fu il bombardamento di Sciaffusa (1.4.1944), che provocò 40 morti, più di 100 feriti e la perdita di beni culturali. Gli Alleati risarcirono in seguito i danni causati dalle loro bombe.

La Svizzera rappresentava inoltre per tutti i Paesi in guerra un luogo ideale per lo scambio di notizie (servizio informazioni): i servizi segreti statunitensi, guidati da Allan W. Dulles, raccoglievano a Berna le informazioni provenienti da Germania, Francia e Italia. Un servizio analogo era praticato anche da Gran Bretagna, Francia, Italia e perfino da Cina e Giappone.

Politica estera

Il settore economico, zona grigia mal delimitata dagli obblighi della politica di neutralità riaffermata dal Consiglio federale il 31.8.1939, ebbe un ruolo centrale nelle relazioni estere della Svizzera durante la guerra. Il successore di Giuseppe Motta alla testa del Dipartimento politico federale (DPF), il radicale Marcel Pilet-Golaz, ebbe poca voce in capitolo e i suoi interventi si limitarono ad alcuni momenti importanti, come nel giugno del 1940, quando, in nome del realismo, raccomandò di procedere a concessioni finanziarie in favore del Reich. Il ruolo guida spettava alla delegazione economica permanente, composta da Heinrich Homberger, dell'Unione svizzera del commercio e dell'industria (Vorort), e da Jean Hotz, della divisione del commercio, alla quale partecipava anche Robert Kohli, specialista finanziario del DPF. Dal novembre del 1941 quest'ultimo diresse inoltre un'importante sezione dello stesso Dipartimento, incaricata di tutelare gli interessi svizzeri all'estero, che nel corso del tempo sviluppò una vera e propria diplomazia finanziaria.

Durante la grave crisi dell'estate del 1940, Pilet-Golaz decise di tenere un "profilo basso" in nome della Realpolitik, ma il discorso radiofonico del 25 giugno, pronunciato in qualità di presidente della Confederazione, creò sconcerto nell'opinione pubblica a causa dei suoi passaggi ambigui, ancora più equivoci nella versione tedesca dell'intervento. In ogni caso, Pilet-Golaz non si spinse così in avanti come avrebbe invece desiderato Hans Frölicher, ministro di Svizzera a Berlino, che il 10 giugno, in una lettera al Consigliere federale, sosteneva che la politica di neutralità della Svizzera avrebbe dovuto ormai fondarsi unicamente sull'amicizia della Germania e dell'Italia e proponeva come primo passo la rottura rapida di ogni rapporto con la Società delle Nazioni (SdN), proposta poi ripresa nell'autunno dalla celebre Petizione dei 200. Il Consiglio federale, che si rifiutò di seguire una via così radicale, decise comunque di sospendere il versamento del contributo annuale alla SdN (dal 1941) e di limitare allo stretto indispensabile le relazioni con il suo segretariato a Ginevra. Quanto a Frölicher, dopo l'inizio dell'operazione Barbarossa (giugno 1941) propose l'invio di missioni sanitarie svizzere sul fronte tedesco orientale. Giudicando l'azione di Frölicher poco efficace, il generale Guisan propose al Consiglio federale di inviare a Berlino in missione straordinaria un "uomo nuovo", Carl Jakob Burckhardt, ma ciò andava oltre le sue competenze. Il comandante supremo dell'esercito rinnovò invano la sua proposta nel novembre del 1940.

Una delle regole seguite dalla Svizzera dal settembre del 1939 in nome della neutralità fu di non riconoscere gli Stati e i regimi nati ex novo dalla guerra, e di conservare le relazioni stabilite con gli Stati che esistevano alla vigilia del conflitto. Malgrado la scomparsa dello Stato polacco nel settembre del 1939, il DPF mantenne così le relazioni con la legazione di Polonia a Berna, il che fu considerato da Berlino come un atto ostile. La stessa politica fu adottata con il Belgio e la Iugoslavia.

Per quanto riguarda i rapporti con i Paesi dell'Asse, quelli con Roma vissero un periodo di crisi piuttosto seria nel gennaio del 1942, quando Roma chiese e ottenne da Pilet-Golaz il richiamo del ministro Paul Ruegger, assolutamente contrario alla concessione di un nuovo credito all'Italia. Solo nel novembre successivo Berna nominò un nuovo ministro a Roma nella persona di Peter Vieli, firmatario della Petizione dei 200 e fortemente raccomandato dagli ambienti economici. Vieli fu richiamato in Svizzera dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Seguendo la prassi tradizionale, la Confederazione non riconobbe de jure il governo della Repubblica sociale italiana (detta Repubblica di Salò), fondata da Mussolini sotto la protezione tedesca, ma de facto stabilì relazioni con un delegato commerciale ammesso in Svizzera.

In Francia, Walter Stucki, ministro a Parigi dal 1938, rappresentò la Svizzera a Vichy fino alla fine del regime di Pétain (agosto 1944). Nell'estate del 1943 il DPF stabilì contatti con i rappresentanti della Francia libera ad Algeri; Berna riconobbe il governo provvisorio formato dal generale de Gaulle solo il 31 ottobre 1944, immediatamente dopo l'analoga decisione degli Alleati. Dato che le nuove autorità francesi opposero il loro veto al ritorno di Stucki a Parigi, ritenendo necessaria una cesura con Vichy, nel maggio del 1945 il posto fu assegnato a Carl Jakob Burckhardt.

Quanto agli Alleati, nei rapporti con Londra la Svizzera soffrì della scarsa dimestichezza che Pilet-Golaz aveva con il mondo anglosassone, sebbene il Consigliere federale rivendicasse di avere rapporti cordiali con i rappresentanti inglesi a Berna, in particolare con David Kelly. Dopo il rientro in Svizzera nel dicembre del 1943 del ministro a Londra, Walter Thurnheer, Pilet-Golaz attese diversi mesi prima di designare un nuovo titolare, Paul Ruegger, per un posto così importante sul piano strategico come quello della capitale britannica.

Confrontato con la sfiducia crescente dell'amministrazione Roosevelt nei confronti della neutralità svizzera e del ruolo delle banche, nel giugno del 1941 Pilet-Golaz propose di inviare una missione straordinaria affidata all'industriale Hans Sulzer (già inviato nel 1917 presso Wilson), ma l'idea fu abbandonata dopo la decisione da parte di Washington di congelare i capitali svizzeri. Dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti, le relazioni si deteriorarono, divenendo tese nel 1944-1945.

Nel campo dei buoni uffici o della neutralità attiva, la Svizzera ebbe un ruolo importante quale potenza protettrice: dall'inizio del conflitto, il DPF si incaricò di proteggere gli interessi tedeschi nell'Impero britannico e, dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti (dicembre 1941), riprese tutti i mandati di protezione fino ad allora gestiti dalla diplomazia statunitense. La Svizzera difese gli interessi di oltre 35 Paesi, fra cui quelli di tutte le grandi potenze, con la sola eccezione dell'Unione Sovietica. Si trattò di un aspetto spesso sottostimato della politica estera svizzera, che ebbe una funzione positiva nella fase finale della guerra, specialmente nelle relazioni con Londra e Washington.

Nel 1944 Pilet-Golaz subì un duro colpo nel tentativo di allacciare contatti con l'Unione Sovietica. Un primo passo verso Mosca era stato compiuto nel febbraio del 1941, quando Berna aveva firmato un accordo commerciale con l'URSS, ma le relazioni erano state interrotte unilateralmente dagli Svizzeri dopo il giugno dello stesso anno. Nell'ottobre del 1944 Paul Ruegger, ministro a Londra, fu incaricato da Pilet-Golaz di prendere contatto con l'ambasciata sovietica in Gran Bretagna. Formulata il 13 ottobre, la domanda ufficiale ricevette un secco rifiuto l'1 novembre da parte di Stalin, che accusò il governo svizzero di aver seguito per anni una politica filofascista nei confronti del suo Paese. Il rifiuto portò alle dimissioni quasi immediate del Consigliere federale. Il radicale Max Petitpierre, eletto al governo nel mese di dicembre, guidò dunque la diplomazia svizzera durante gli ultimi mesi di guerra e nel dopoguerra, in un periodo caratterizzato da difficili negoziati con gli Alleati (accordo di Washington).

Politica interna

Nel periodo bellico, tutte le scelte furono subordinate al primato della politica estera e di sicurezza. Aspetti centrali della politica interna furono soprattutto la politica sociale e dell'occupazione, strettamente legata alla politica economica, che a sua volta comprendeva la questione dell'approvvigionamento alimentare.

Il 30 agosto 1939 il Consiglio federale vide ampliati i propri poteri straordinari, grazie a cui poteva agire anche senza basi costituzionali. Fondandosi sul diritto di necessità, entro la fine della guerra il Consiglio federale adottò più di 500 disposizioni, relative soprattutto alla politica economica. Tale maggiore libertà di azione si inseriva nella tendenza generale a conferire maggiore peso al governo ai danni del legislativo. Il regime dei pieni poteri non rafforzò però il potere esecutivo, ma portò piuttosto a un suo indebolimento, dato che le associazioni di categoria potevano esercitare direttamente pressioni sul Consiglio federale senza passare dal parlamento, che aveva perso di importanza. Aumentò invece l'influenza della Confederazione a scapito dei cantoni.

Liberi fuori, liberi dentro... partito radicale. Manifesto realizzato in occasione delle elezioni federali dell'ottobre del 1939 da Alois Carigiet (Biblioteca cantonale dei Grigioni, Coira).
Liberi fuori, liberi dentro... partito radicale. Manifesto realizzato in occasione delle elezioni federali dell'ottobre del 1939 da Alois Carigiet (Biblioteca cantonale dei Grigioni, Coira). […]

A causa dell'antiparlamentarismo caratteristico dell'epoca, i partiti non godevano di particolare prestigio. Diverse proposte di riforma tentarono di ridurre i poteri del parlamento. La Lega del Gottardo, nata nel giugno del 1940, si impegnò a favore della coesione interna della Svizzera e di una democrazia autoritaria (frontismo). Un'iniziativa, depositata nel marzo del 1941, che mirava a ridurre a ca. la metà i seggi del Consiglio nazionale venne però nettamente respinta in votazione popolare nel maggio del 1942. Il peso relativo dei singoli partiti nel periodo bellico rimase sostanzialmente stabile; già nel novembre del 1940 vennero proibiti i partiti di estrema sinistra (partito comunista) e di estrema destra (Movimento nazionale svizzero).

Le elezioni federali dell'autunno del 1939 si svolsero sotto il segno della coesione nazionale; in otto cantoni e un semicantone avvennero in maniera tacita. Con solo un quinto di nuovi parlamentari il ricambio della classe politica fu modesto. Fino al 1943, il Consiglio federale fu composto da quattro radicali, due cattolici conservatori e un rappresentante del partito dei contadini, degli artigiani e dei borghesi. Nel gennaio del 1942, un'iniziativa socialista che mirava a portare la sinistra in governo tramite l'elezione popolare del Consiglio federale venne respinta con due terzi dei suffragi. Nell'autunno del 1943, la quota dei nuovi deputati (37%) fu di nuovo nella media; vincitore delle elezioni risultò il partito socialista. Il risultato fu la conseguenza della crescente insoddisfazione nei confronti della politica del governo, di cui la sinistra non faceva ancora parte. Nel dicembre del 1943 l'Assemblea federale, in cui predominavano i partiti borghesi, integrò il partito socialista nella democrazia di concordanza eleggendo in Consiglio federale Ernst Nobs, il primo esponente della sinistra a entrare nel governo.

L'unica votazione popolare che l'esecutivo dovette promuovere, in seguito al lancio di un referendum, non ebbe l'esito da esso auspicato: nel dicembre del 1940 venne infatti respinta, malgrado le minacce esterne, la proposta di rendere obbligatoria l'istruzione militare preparatoria per i giovani tra i 16 e i 19 anni, soprattutto a causa di un riflesso anticentralista. Il Consiglio federale e il parlamento non osarono sottoporre al responso delle urne l'introduzione dell'imposta sul reddito, che infine avvenne ricorrendo ai pieni poteri. Il Consiglio federale e il parlamento ritennero infatti poco prudente svolgere effettivamente tale votazione, già prevista per il 2 giugno 1940, in tempi così difficili.

"Sicuramente questo lascerà una forte traccia!". Caricatura di Carl Böckli pubblicata sul Nebelspalter, 1940, n. 44 (Biblioteca nazionale svizzera, Berna; e-periodica).
"Sicuramente questo lascerà una forte traccia!". Caricatura di Carl Böckli pubblicata sul Nebelspalter, 1940, n. 44 (Biblioteca nazionale svizzera, Berna; e-periodica). […]

La stampa era sottoposta alla censura repressiva (censura), finalizzata più a evitare incidenti diplomatici che a reprimere il dissenso sul piano interno. Ufficialmente lo Stato non pretendeva una neutralità di opinione, ma di fatto si attendeva una certa prudenza nei commenti sulla situazione internazionale. Per una questione di immagine, era vietato criticare l'esercito, mettere in discussione la neutralità o screditare il Consiglio federale. La violazione di direttive generali e norme particolari veniva punita. Le sanzioni leggere ebbero però un effetto ridotto, mentre quelle più incisive non vennero quasi mai attuate per scrupolo democratico; prese di posizione estreme vennero a ogni modo limitate. La stampa godeva del sostegno della popolazione, in massima parte ostile alle potenze dell'Asse.

Benché soggetta a limitazioni, la democrazia sopravvisse in mezzo a un Europa segnata dalla guerra e dal totalitarismo. Nel primo anno e mezzo di servizio attivo non venne depositata alcuna iniziativa, nel 1941 due, mentre nel 1942-1943 cinque. Con il capovolgimento delle sorti della guerra, il dibattito sulla politica interna e sociale si ravvivò, come testimoniano nel 1942 il lancio delle iniziative per la protezione della famiglia e l'assistenza degli anziani, e nel 1943 le due iniziative per la tutela del lavoro e quella contro la speculazione.

Attraverso il razionamento dei generi alimentari, il Consiglio federale intese garantire i bisogni minimi della popolazione indipendentemente dalle risorse individuali. Nel gennaio del 1940 ai militi venne riconosciuta un'indennità per perdita di guadagno, finanziata per metà dalle autorità (per due terzi dalla Confederazione, e per un terzo dai cantoni), e per l'altra metà con una quota sui salari versata dai datori di lavoro e dai lavoratori dipendenti (2% per entrambi).

Nel quadro dell'economia di guerra, nel settembre del 1939 venne introdotto il controllo sui prezzi in settori importanti quali il commercio all'ingrosso e al dettaglio, i canoni di locazione, gli affitti, le tariffe elettriche e quelle del gas. Coloro che eludevano l'obbligo di indicare i prezzi correvano il rischio che la loro impresa venisse chiusa. Malgrado tali misure, l'indice dei prezzi al consumo salì a 146 punti nel 1942 (1938=100), e a 152 entro la fine della guerra. Gli stipendi crebbero meno dei prezzi, ciò che portò a una diminuzione dei salari reali (politica dei prezzi e salari). Il Consiglio federale fu contrario alla compensazione integrale del rincaro, in quanto una crescita della massa salariale di fronte alla stagnazione dell'offerta (ridotta) di beni avrebbe ulteriormente stimolato l'inflazione, riducendo così il potere d'acquisto degli strati sociali più deboli.

In ambito fiscale, la Confederazione attuò una politica redistributiva: con l'imposta sui profitti di guerra vennero prelevati fino al 70% degli utili netti straordinari. Un'imposta sulla sostanza, denominata sacrificio per la difesa nazionale, venne esatta in due occasioni, assicurando un gettito di oltre 600 milioni di frs.; inoltre venne riscossa anche una tassa sui beni di lusso. L'imposta per la difesa nazionale, un prelievo sul reddito a favore della Confederazione entrato in vigore nel 1941, colpì in maniera particolare i contribuenti più facoltosi (imposta federale diretta).

Entro l'inizio della guerra, la disoccupazione si era sensibilmente ridotta. Dopo l'apice toccato nel 1936 (93'000 disoccupati, pari al 5% della popolazione attiva), nell'estate del 1939 il numero dei senza lavoro era sceso a 28'000. Ancora nell'estate del 1940, si temeva però per una sua rapida ripresa. Nel periodo bellico si assistette invece a un ulteriore calo; addirittura la domanda di manodopera non poté sempre essere soddisfatta. L'esercito, le industrie esportatrici e l'agricoltura dovettero quindi contendersi la forza lavoro disponibile.

Economia

Commercio estero della Svizzera 1924-1960
Commercio estero della Svizzera 1924-1960 […]

Entrambi gli schieramenti cercarono di sfruttare a loro vantaggio il potenziale economico dei Paesi neutrali. Dal canto suo la Svizzera, quale economia aperta orientata all'esportazione, dipendeva dalle importazioni di materie prime e di generi alimentari e dall'esportazione di beni di consumo e di investimento. Il blocco degli Alleati e il controblocco delle potenze dell'Asse ostacolò fortemente il commercio estero, la cui importanza non fu mai così bassa come in quegli anni; nel 1945 la quota di importazioni ed esportazioni sul prodotto nazionale netto raggiunse il minimo storico, con poco meno del 10% in entrambi i casi. La diminuzione degli scambi con l'estero fu compensata dal mercato interno; lo sfruttamento delle capacità produttive venne garantito dalle spese militari e dagli sforzi tesi ad aumentare il grado di autosufficienza. Le condizioni quadro con cui fu confrontata l'economia svizzera negli anni di guerra si erano delineate già negli anni 1930-1940: la maggior parte del commercio estero già allora avveniva tramite accordi di compensazione (clearing), il regime dei pieni poteri era stato preceduto dalla politica dei decreti federali urgenti. All'ingerenza statale negli scambi con l'estero corrispose il "corporativismo" sul piano interno: le associazioni economiche, e in primo luogo l'Unione svizzera del commercio e dell'industria (Vorort), acconsentirono alla politica interventista solo a condizione di essere direttamente coinvolte nel processo decisionale. L'organo fondamentale di questo sistema fu la delegazione economica permanente.

Sul piano economico, la Svizzera risultò più preparata a un conflitto militare rispetto al 1914: la struttura organizzativa dell'economia di guerra, elaborata con largo anticipo, divenne operativa già il 4 settembre 1939. Se da un lato il piano Wahlen, promosso nel quadro dell'approvvigionamento economico del Paese, non poté nemmeno lontanamente garantire l'autosufficienza alimentare nazionale, per la popolazione esso rappresentò comunque il simbolo degli sforzi autarchici del Paese. Il razionamento garantì una ripartizione sufficientemente equa dei beni disponibili. Malgrado le restrizioni che ne derivarono, la situazione alimentare risultò abbastanza buona se paragonata a quella dei Paesi occupati; la disponibilità complessiva di cibo dal 1934 al 1944 si ridusse a ogni modo del 28%. Nel periodo bellico, la produzione di carne diminuì del 40%, e quella di latte del 21%.

La ripresa manifestatasi già prima del conflitto si tramutò in una sorta di congiuntura di guerra, i cui limiti sul lato dell'offerta erano determinati dalla carenza di materie prime. Il prodotto nazionale netto scese da 8,3 miliardi di frs. nel 1938 a 7,2 miliardi nel 1942; solo nel 1946 vennero raggiunti nuovamente i livelli prebellici. Anche l'indice della produzione industriale passò da 124 (media degli anni 1937-1940) a 94 (media 1941-1944), un calo che riguardò in maniera indistinta tutte le industrie esportatrici e tutti i settori rivolti al mercato interno. Tra il 1937 e il 1946 aumentò invece considerevolmente il numero delle fabbriche (+23,8%) e degli operai di fabbrica (+32,7%).

Gli utili netti delle imprese nel periodo bellico diminuirono. Grazie a impianti produttivi intatti e spesso anche ammodernati e al rafforzamento della piazza finanziaria, nel 1945 esse risultarono però pronte a fornire i loro prodotti ai Paesi europei devastati dalla guerra. Salari e stipendi di operai e impiegati diminuirono rispetto ai livelli dell'anteguerra, ma crebbero poi nettamente nel 1946-1947. Nel settore agricolo invece i redditi aumentarono del 40%, vista la disponibilità limitata di generi alimentari.

Nell'immagine sono raffigurate varie tessere di razionamento e una carta di controllo rilasciata dall'ufficio dell'economia di guerra della città di Losanna (Collezione privata).
Nell'immagine sono raffigurate varie tessere di razionamento e una carta di controllo rilasciata dall'ufficio dell'economia di guerra della città di Losanna (Collezione privata).
Scambi commerciali della Svizzera con i blocchi 1939-1945
Scambi commerciali della Svizzera con i blocchi 1939-1945 […]
Scambi commerciali della Svizzera con il Terzo Reich 1938-1945
Scambi commerciali della Svizzera con il Terzo Reich 1938-1945 […]

Nell'ambito degli scambi con l'estero, con l'inizio della guerra si assistette a un mutamento di paradigma: le esportazioni furono ormai poste al servizio delle importazioni. I Paesi destinatari venivano scelti in base alla loro capacità di rifornire la Svizzera di materie prime e altri prodotti. Sul piano diplomatico, vennero condotte trattative con i due schieramenti, spesso anche in maniera parallela. Ogni accordo con una delle due coalizioni doveva essere accettato anche dall'altra, pena il rischio di una riduzione o di un blocco delle forniture alla Svizzera. Con la Germania il Consiglio federale concluse due accordi (9.8.1940, 18.7.1941), con cui il Terzo Reich ottenne tra l'altro un credito nel clearing di complessivamente 850 milioni di frs. Con l'Italia invece tra il 1940 e il 1942 gli accordi furono tre, e fruttarono alla Penisola un credito totale nel clearing di 215 milioni. Il War Trade Agreement, sottoscritto con gli Alleati il 25 aprile 1940, alla sua entrata in vigore risultò già superato dagli eventi. Fino alla svolta delle sorti della guerra nell'inverno 1942-1943, questi ultimi dimostrarono comprensione per la situazione della Svizzera, mentre in seguito le loro pressioni aumentarono: nel gennaio del 1943 diffidarono dall'acquisto di beni depredati, dalla primavera all'autunno dello stesso anno interruppero le forniture di generi alimentari alla Svizzera, mentre da agosto compilarono liste nere in cui figuravano le imprese in rapporti d'affari con i Paesi dell'Asse.

I rapporti con la Germania non furono regolati da trattati tra l'inizio e il primo ottobre del 1943, quando venne stipulato un nuovo accordo aggiuntivo. Per la prima volta, la delegazione tedesca non riuscì a imporre tutte le sue pretese e dovette accettare una riduzione delle forniture svizzere. In seguito gli accordi ebbero una durata sempre minore e risultarono sempre meno favorevoli alla Germania; per motivi di principio legati alla politica di neutralità, il Consiglio federale cercò comunque di mantenere contatti diplomatici con il Terzo Reich fino al momento del suo crollo, anche per non pregiudicare i rapporti con il futuro governo tedesco. Il primo ottobre 1944 il governo proibì qualsiasi esportazione di materiale di guerra, mentre nei successivi accordi del 19 dicembre 1944 e del 16 febbraio 1945 (missione Currie-Foot) venne maggiormente incontro alle richieste alleate. Anche dopo la fine della guerra non vennero meno le pressioni angloamericane, a cui la Svizzera riuscì a sottrarsi solo in seguito all'accordo di Washington del 1946.

Verso la fine della guerra, i preparativi in vista della ricostruzione dell'Europa e dell'ordine postbellico subentrarono gradualmente all'economia di guerra. Già il 22 marzo 1945 la Svizzera concluse un accordo finanziario con la Francia. Contribuendo alla ricostruzione del Vecchio continente, il Consiglio federale riuscì sia a migliorare l'immagine della Confederazione agli occhi degli Alleati, sia a scongiurare la temuta recessione postbellica, dato che i crediti all'estero erano destinati a finanziare le esportazioni svizzere. Inoltre si trattava di un sistema efficace per garantirsi l'apertura dei mercati esteri. Fino a metà del 1946, vennero sottoscritti accordi simili con Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Gran Bretagna e Cecoslovacchia, cui furono concessi crediti per un ammontare complessivo di 650 milioni di frs.

Estrazione della torba nel Seeland. Fotografia di Hermann Schmidli, luglio 1942 (Ringier Bildarchiv, RBA1-10-329) © Staatsarchiv Aargau / Ringier Bildarchiv.
Estrazione della torba nel Seeland. Fotografia di Hermann Schmidli, luglio 1942 (Ringier Bildarchiv, RBA1-10-329) © Staatsarchiv Aargau / Ringier Bildarchiv. […]

Nel quadro dell'economia di guerra tedesca, le forniture svizzere di armi, macchine, strumenti, prodotti orologieri ed elettricità ebbero un peso importante, ma non determinante. Tra il 1940 e il 1944, l'84% delle esportazioni di armi e munizioni furono destinate alle potenze dell'Asse; tuttavia esse costituirono solo l'1% della produzione tedesca totale di armi. Percentuali altrettanto basse risultano nel caso dei prodotti meccanici. Solo per alcuni prodotti orologieri – in particolare spolette – il regime nazista dipese pressoché interamente dalle forniture elvetiche.

Più che ai prodotti industriali, il Terzo Reich si interessò alla Piazza finanziaria svizzera. Dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti nel dicembre del 1941, il franco costituì una delle poche valute liberamente convertibili. In Svizzera, la Reichsbank riuscì a procurarsi 1212 milioni di frs. dalla Banca nazionale e 267 milioni dalle grandi banche tramite la vendita di oro monetario confiscato (oro depredato) nei Paesi soggetti al dominio tedesco. Ulteriori entrate derivarono dai pagamenti svizzeri in valuta libera effettuati nell'ambito del clearing (183 milioni di frs.) e dalla vendita di titoli depredati (11 milioni di frs.). La Germania impiegò le divise libere così ottenute per acquistare materie prime (ad esempio petrolio, tungsteno, stagno, caucciù), prodotti finiti e servizi di utilità bellica da altri Paesi neutrali quali la Svezia, la Spagna, il Portogallo e la Turchia. Questi servizi di natura finanziaria, ma anche il traffico di transito tra la Germania e l'Italia attraverso le linee del Gottardo e del Lötschberg-Sempione, nel gennaio del 1944 indussero il ministero degli armamenti tedeschi a desistere da una guerra economica con la Svizzera.

Il ripiegamento nel ridotto alpino e la riduzione dei reparti mobilitati permise il ritorno di una parte dei soldati al loro posto di lavoro nelle imprese, la cui produzione era in parte destinata alle economie di guerra tedesca e italiana. La strategia adottata nei confronti della Germania di evitare un avvicinamento sul piano politico tramite la collaborazione economica ebbe un ampio sostegno politico. Anche i sindacati e il partito socialista, dal 1943 rappresentato in Consiglio federale, con l'obiettivo della piena occupazione sostennero una politica economica estera che adempiva a tre aspettative: l'approvvigionamento della popolazione e delle industrie con le necessarie importazioni, la prosperità tramite la piena occupazione, che a sua volta garantiva la pace sociale, e infine la sicurezza del Paese, nella speranza che la Germania per ragioni economiche avrebbe rispettato l'integrità territoriale e l'autonomia politica della Svizzera.

Aspetti sociali

Donne mentre lavano i panni dei soldati. Fotografia di Georges Tièche, marzo 1941 (Archivio federale svizzero, Berna, E5792#1988/204#211*, Bild 07582).
Donne mentre lavano i panni dei soldati. Fotografia di Georges Tièche, marzo 1941 (Archivio federale svizzero, Berna, E5792#1988/204#211*, Bild 07582). […]

Memori delle tensioni sociali della prima guerra mondiale, sia il governo sia il comando supremo dell'esercito adottarono misure per scongiurare ulteriori crisi: indennità per perdita di guadagno, razionamento (talvolta neutralizzato dal mercato nero), controllo parziale dei prezzi, smobilitazione degli uomini in caso di diminuzione del pericolo. Tuttavia, un'evidente animosità caratterizzò i rapporti fra consumatori medi e contadini durante tutta la guerra, un'ostilità amplificata dai rispettivi organi di stampa e sindacati. Mugugni contro gli approfittatori e i ricchi si sollevarono durante gli anni 1941-1942. La disoccupazione, già notevolmente diminuita nel 1939, si trasformò lentamente in una penuria di manodopera; ciò nonostante, la popolazione e le autorità condividevano il timore che il pieno impiego non fosse garantito. Le donne furono impiegate in particolare nell'agricoltura. Negli altri settori la loro presenza non subì alcuna modifica durante la guerra: il numero di coloro che nel 1941 esercitava un'attività lucrativa fu il più basso mai registrato (lavoro femminile salariato). Più di due donne su tre erano nubili, mentre fra quelle coniugate meno di una su dieci era attiva professionalmente. Il conflitto rese per contro possibile l'introduzione di un altro grande soggetto della politica sociale, l'assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS), adottata dal governo (maggio 1944) e dal popolo (luglio 1947).

Le autorità si preoccuparono anche del morale delle truppe e della popolazione, compito piuttosto complicato per quanto atteneva ai civili. La sezione Esercito e Focolare, spesso in collaborazione con la stampa, fu incaricata di ovviare ai fattori che potevano incidere sullo spirito della popolazione civile: la sconfitta francese, l'incertezza della politica da seguire (allineamento o resistenza), il silenzio del governo durante diversi giorni nel giugno del 1940, la minaccia di una "quinta colonna", l'ambiguità della tattica del ridotto nazionale, il sentimento di essere rinchiusi all'interno delle frontiere, la propaganda straniera (specialmente tedesca, attraverso le cronache quotidiane ad esempio), la lunghezza del conflitto e le difficoltà della vita quotidiana.

Nonostante le restrizioni, la Svizzera visse una situazione di privilegio rispetto ai Paesi belligeranti. Lo stato di salute degli Svizzeri fu relativamente buono, l'alimentazione povera di zuccheri e grassi: il tasso di mortalità variò tra il 10,9‰ (1942) e il 12‰ (1940 e 1944). La popolazione crebbe di più di 200'000 unità fra il 1939 (popolazione media stimata a 4'205'600) e il 1945 (4'412'000). Posticipato di un anno per gli avvenimenti bellici, il censimento della popolazione fu effettuato nel 1941. La Svizzera contava allora 4'265'703 abitanti, di cui il 5,2% stranieri (la percentuale più bassa dal 1850). Il tasso di nuzialità passò dal 7,5‰ nel 1939 a più dell'8‰ dal 1941, quello di natalità, pari al 14,9‰ nel 1937, superò il 18‰ nel 1942 e raggiunse il punto più alto nel 1945 (20,1‰), quando i figli del baby boom erano nati. Il numero degli Svizzeri all'estero calò da 290'000 (1939) a 248'000 (1945), a seguito dei molteplici rientri negli anni 1939, 1940 e 1945 (la colonia svizzera in Germania diminuì della metà); per quanto riguarda le donne svizzere, che perdevano automaticamente la cittadinanza in caso di matrimonio con uno straniero, il loro ritorno in patria era più complicato. L'emigrazione segnò il passo.

Rifugiati

Alla vigilia della guerra, sul piano del diritto internazionale i profughi civili erano meno protetti dei militari, per i quali valevano le convenzioni dell'Aia. In totale, la Confederazione internò 103'000 soldati e ufficiali, fra cui 29'000 Francesi e 12'000 Polacchi nel giugno del 1940 e più di 20'000 Italiani nell'autunno del 1943.

Per quanto riguarda i civili, la legislazione che ne regolava l'entrata in Svizzera si era notevolmente inasprita dopo la Grande guerra (stranieri). In occasione della conferenza di Evian (luglio 1938), la Svizzera si dichiarò "Paese di transito", disposto a tollerare gli "emigranti" per un breve periodo. Dall'inizio della guerra, il visto divenne obbligatorio per tutti gli stranieri, fatta eccezione per i rifugiati politici, categoria nella quale non rientravano gli ebrei. Dei negoziati fra la Svizzera e la Germania portarono nell'ottobre del 1938 all'apposizione del cosiddetto timbro "J" sui passaporti degli ebrei tedeschi (asilo).

Caricatura di Fritz Gilsi apparsa sul Nebelspalter, 1944, n. 7 (Biblioteca nazionale svizzera, Berna; e-periodica).
Caricatura di Fritz Gilsi apparsa sul Nebelspalter, 1944, n. 7 (Biblioteca nazionale svizzera, Berna; e-periodica). […]

Nel'estate del 1942, nonostante le razzie che in Francia spingevano un numero crescente di ebrei a tentare l'entrata in Svizzera e malgrado le informazioni di cui Berna disponeva sulle persecuzioni a cui gli ebrei erano sottoposti nell'Europa orientale, la Confederazione dispose la chiusura delle frontiere; la misura venne giustificata dal Consigliere federale Eduard von Steiger con la necessità di proteggere la Svizzera, paragonata a una barca di salvataggio già sovraccarica. La circolare del 13 agosto firmata da Heinrich Rothmund, capo della divisione di polizia, che stabiliva il respingimento degli ebrei entrati nel Paese illegalmente, sollevò numerose proteste. Già il 31 agosto Rothmund domandò in via confidenziale al responsabile della polizia ginevrina di prendere tempo e di respingere il minor numero possibile di persone. Questa posizione spiega come mai, nonostante direttive così restrittive, nel settembre e nell'ottobre del 1942 si registrò il maggior numero di entrate di profughi ebrei, specialmente a Ginevra. L'occupazione della zona libera francese (novembre) e l'adozione di nuove direttive di polizia (29 dicembre), ancora più draconiane delle precedenti, portarono a una drastica diminuzione delle ammissioni. Solo nel luglio del 1944, a seguito dello sbarco e delle notizie sul massacro degli ebrei ungheresi, la divisione di polizia revocò le direttive del dicembre del 1942 e riconobbe agli ebrei lo statuto di rifugiati politici. Fra i 51'000 civili ammessi dal settembre del 1939, un po' più di 21'000 furono ebrei (28'000 se si considerano anche quelli presenti prima del 1939 con lo statuto di "emigranti"). Il numero di civili rimpatriati è oggetto di discussione: nel 1957 Carl Ludwig li stimò in 10'000, cifra più che raddoppiata nel 1996 da Guido Koller. Se le ricerche in corso sui passaggi alle frontiere italiane e francesi permetteranno probabilmente di affinare le stime, resterà per contro ignoto il numero dei civili che fu dissuaso dal tentare il passaggio.

Rothmund non fu l'unico responsabile della politica svizzera in materia di asilo, che aveva ricevuto l'avallo del Consiglio federale e del parlamento ancora prima che le autorità tedesche esercitassero pressioni affinché la Svizzera chiudesse le frontiere. L'esercito e il suo comandante supremo contribuirono all'inasprimento delle misure restrittive; nella stessa direzione si mossero i cantoni, che talvolta sollecitarono un maggiore rigore da parte di Berna. Questa politica fu controbilanciata dal comportamento dei singoli (ad esempio di Paul Grüninger) e criticata dalle Chiese e dagli ambienti umanitari. Non bisogna infine dimenticare il ruolo del CICR (Croce Rossa) che, oltre alla sua attività all'estero (visita ai prigionieri, spedizione della posta di questi ultimi), gestì l'accoglienza temporanea di bambini francesi e belgi in Svizzera.

Cultura

Durante gli anni del servizio attivo, non si parlava tanto di cultura quanto di difesa spirituale. Il pensiero che lo "spirito" rispettivamente la cultura fossero elementi di importanza nazionale si rafforzò negli anni 1930, trasformandosi da idee astratte in concetti che ispiravano la vita quotidiana. La comunità nazionale si identificava con prestazioni individuali o di gruppo, che permettevano di mettersi in luce nei concorsi internazionali. Secondo la definizione contenuta nel messaggio del 1938 del Consigliere federale Philipp Etter, la cultura svizzera aveva l'obiettivo di fornire un'opposizione attiva contro le minacce esterne, temibili soprattutto quando assumevano i contorni della propaganda straniera.

I principali operatori culturali (incluso il giovane Max Frisch) ritenevano che si dovesse sostenere la creatività artistica svizzera, con l'aggettivo "svizzero" che non si riferiva tanto all'appartenenza geopolitica quanto soprattutto ai contenuti. La concezione libertaria e democratica doveva quindi opporsi ai totalitarismi fascista e nazionalsocialista, ma anche al comunismo. Per i conservatori, la tutela della cultura nazionale rappresentava un baluardo contro la disgregazione spirituale causata da intellettuali critici, artisti immorali, materialisti privi di convinzioni religiose: in poche parole, essa doveva preservare la società dalla modernità, espressione del "nichilismo" e del "bolscevismo culturale". L'appartenenza alle sfere culturali tedesca, francese e italiana non fu mai negata: Francesco Chiesa, ad esempio, sottolineò i legami culturali con l'Italia, definita "perpetua nutrice", e con gli Italiani, considerati fratelli di sangue ("sono il nostro sangue").

In parte costretta dall'esterno, in parte per volontà propria, la vita culturale si concentrò sullo spazio svizzero con le sue prerogative. La storia patria (specialmente la vecchia Confederazione) e la geografia (con le Alpi al centro) divennero suoi elementi fondanti. L'archeologia ricevette un forte impulso. Il bisogno di ritornare alle origini spinse gli studiosi a dedicarsi in maniera intensiva alla Preistoria e a tutta l'era che precedette la tradizione scritta. Nel 1937 l'archeologo Rudolf Laur sostenne che prima del Patto federale del 1291 esisteva già una Svizzera preistorica, nella quale iniziarono a svilupparsi le radici della cultura svizzera.

La produzione culturale durante la guerra assunse anche un aspetto moderno, riscontrabile ad esempio nella nascita della rivista Du, fondata nel 1941 da Arnold Kübler e curata nella sua edizione grafica da Emil Schulthess. I fotografi Hans Staub, Paul Senn, Jakob Tuggener e Werner Bischof vi pubblicarono reportage molto seguiti. Moderna era anche la nascente attrazione per il jazz, che i conservatori denigrarono come musica "negra" decadente. Gli amanti di questa musica poterono comunque rivendicare di aver contribuito alla difesa spirituale del Paese, difendendo una musica che nel Terzo Reich era stata repressa. Il jazz era particolarmente apprezzato nella Svizzera francese, perché permetteva di respirare un'aria internazionale all'interno di un Paese chiuso quale era la Confederazione di allora e poiché faceva da contrappeso alla musica popolare svizzerotedesca.

La radio diede un notevole contributo all'affermazione del sentimento nazionale. Da diverse radio private nacque nel 1931 la Società svizzera di radiodiffusione. I tre trasmettitori nazionali (Sottens, Beromünster e Monte Ceneri), garanti della qualità svizzera, creavano l'identità elvetica. Al servizio della difesa spirituale, produssero trasmissioni sugli avvenimenti principali della storia svizzera e sui 650 anni della Confederazione (1941), e programmi destinati ai soldati. Dal 1940 Radio Beromünster mandò in onda una trasmissione settimanale molto ascoltata a livello internazionale e prodotta da Jean Rudolf von Salis, cui fece seguito nel 1941 una versione francese curata da René Payot.

Una squadra di operatori del Cinegiornale svizzero in compagnia di soldati mobilitati, in occasione di una ripresa a Eclépens nell'aprile del 1943 (Collezione Cinémathèque suisse, tutti i diritti riservati).
Una squadra di operatori del Cinegiornale svizzero in compagnia di soldati mobilitati, in occasione di una ripresa a Eclépens nell'aprile del 1943 (Collezione Cinémathèque suisse, tutti i diritti riservati). […]

La produzione cinematografica svizzera visse durante la guerra un periodo di splendore. Sebbene sottoposto alla censura, il cinema poté infatti trarre profitto dalle misure protezionistiche introdotte dallo Stato, che limitarono l'importazione di film dai Paesi dell'Asse. Pellicole quali Il fuciliere Wipf (1938, per la regia di Hermann Haller e di Leopold Lindtberg) e Gilberte de Courgenay (1941, di Franz Schnyder) contribuirono al rafforzamento della volontà di difesa. I registi presero spunto anche dalla storia svizzera, ad esempio con la riduzione cinematografica delle novelle di Gottfried Keller Lettere d'amore smarrite (1940) e Il Landamano Stauffacher (1941), entrambe per la regia di Leopold Lindtberg. La società cinematografica Praesens di Lazar Wechsler produsse anche film di attualità: nel 1943 sulla bambina profuga di origini francesi Marie-Louise, nel 1944 su un tentativo di fuga in Svizzera (Die letzte Chance). Fondato nel 1939, il Cinegiornale svizzero fu al servizio della difesa spirituale, ma diffuse anche immagini degli eventi bellici in tutto il mondo.

Il ritorno di numerosi emigrati ed esiliati animò la vita culturale svizzera. Manoscritti che in tempo di pace sarebbero stati pubblicati da case editrici straniere vennero stampati in Svizzera, ad esempio da Emil Oprecht. Dato che nel Terzo Reich non venne messa a disposizione la carta per stampare le opere di Hermann Hesse, dal 1942 le stesse uscirono a Zurigo. La rivista Traits, fondata in Svizzera dopo la sconfitta della Francia, pubblicò testi di scrittori francesi, così come i Cahiers du Rhône.

"Il nostro soggiorno in Svizzera. Ricordi della visita dei soldati americani in Svizzera nel 1945/46". Copertina dell'opera pubblicata a Zurigo presso la casa editrice Zur Limmat nel 1945 (Collezione privata).
"Il nostro soggiorno in Svizzera. Ricordi della visita dei soldati americani in Svizzera nel 1945/46". Copertina dell'opera pubblicata a Zurigo presso la casa editrice Zur Limmat nel 1945 (Collezione privata). […]

Sotto l'impulso della difesa spirituale, anche il cabaret e il teatro vissero un periodo di sviluppo. Il Cabaret Cornichon a Zurigo offriva intrattenimenti leggeri e trattava quasi solo temi della realtà nazionale. A Losanna era invece presente Gilles con il suo Au Coup de Soleil, di orientamento antinazista. Al di fuori di quelli svizzeri, per molti anni non vi furono teatri di lingua tedesca non sottoposti alla repressione del Reich. Opere teatrali, quali quelle di Bertolt Brecht, e musicali, ad esempio quelle di Paul Hindemith, Béla Bartók, Arnold Schönberg, Alban Berg e Felix Mendelssohn-Bartholdy, furono eseguite per la prima volta o trovarono ulteriore spazio in Svizzera. Nel Paese, la cultura perseguitata e lo spirito bandito riuscirono, in un modo o nell'altro, a rimanere produttivi. I rapporti fra operatori culturali svizzeri ed esiliati fu spesso caratterizzato da tensioni: la Società svizzera degli scrittori rivendicò il sostegno per le opere degli autori svizzeri e per la creazione di un teatro tipicamente svizzero. Lo Schauspielhaus di Zurigo conobbe sotto la direzione di Oskar Wälterlin probabilmente gli anni più importanti della sua storia, grazie alla presenza di attori e attrici di eccezione (fra cui Therese Giehse, Wolfgang Langhoff), che per un certo tempo vissero in esilio in Svizzera. La luna è tramontata, di John Steinbeck, che narra della resistenza norvegese nei confronti dell'occupazione tedesca, fu portata in scena per la prima volta in tedesco a Basilea nel 1943 e per molto tempo dominò i cartelloni dei teatri svizzeri.

Il dibattito storiografico dopo il 1945

Passata attraverso varie fasi, la ricerca storiografica sulla Svizzera nella seconda guerra mondiale – e, strettamente legata ad essa, quella sugli anni 1933-1939 – risulta molto ricca. La notevole quantità di studi è riconducibile alla grande attenzione rivolta a questi periodi eccezionali. Importanti stimoli alla ricerca e al relativo dibattito storiografico sono derivati dalla pubblicazione all'estero di documenti legati alle vicende svizzere di quegli anni. Impulsi di tale natura furono all'origine del rapporto sulla politica d'asilo svizzero di Carl Ludwig (1957), dello studio sulla neutralità svizzera di Edgar Bonjour (1970) e del cosiddetto rapporto Bergier (2001).

Ulteriori spinte verso un approccio critico alla storia del periodo bellico non giunsero dal mondo accademico, ma soprattutto da scrittori e pubblicisti quali Alfred A. Häsler (Das Boot ist voll, 1967), Max Frisch (Libretto di servizio, 1974; Svizzera senza esercito?, 1989), Niklaus Meienberg (Die Erschiessung des Landesverräters Ernst S., 1974, edizione ampliata e riveduta 1977), Stefan Keller (Grüningers Fall, 1993) e Gian Trepp (Bankgeschäfte mit dem Feind, 1993). Solo in seguito la storiografia si occupò di tali argomenti, contribuendo a relativizzare, contestualizzare e a dare una base scientifica al dibattito.

Le prime ricostruzioni (1945-1975)

Una prima ondata di pubblicazioni sul tema si ebbe nel periodo immediatamente successivo alla fine della guerra. Si trattò in prevalenza di resoconti ufficiali sulle misure adottate negli anni di guerra per quanto riguarda la difesa nazionale, la libertà di stampa, la repressione delle forze antidemocratiche e l'economia di guerra. Ancora nel 1951 venne bocciata la pubblicazione di un rapporto interno sulla politica d'asilo. Solo in seguito alla scoperta di fonti compromettenti nei documenti diplomatici tedeschi, nel 1954 venne dato l'incarico a Carl Ludwig di redigere un ulteriore rapporto, poi pubblicato nel 1957. Tutti i resoconti di questa prima fase furono indirizzati in primo luogo all'opinione pubblica nazionale (parlamento, partiti, cittadini). Viste le critiche espresse nel 1945 dagli Alleati nei confronti dell'atteggiamento svizzero verso i Paesi dell'Asse, per un certo periodo vi fu un interesse a chiarire la politica elvetica anche verso l'esterno. Un rapporto a tale scopo non venne però mai redatto.

Una seconda ondata attorno al 1960 venne nuovamente provocata dalla pubblicazione di documenti. La scoperta dei contatti segreti tra gli Stati maggiori svizzeri e francesi del 1940 (le cosiddette carte di La Charité-sur-Loire, poi cadute in mano tedesca) venne reputata compromettente per l'immagine della neutralità elvetica. Il Consiglio federale non riuscì però a impedire la pubblicazione dei relativi documenti, ma solo a ritardarla fino al 1961. Inoltre incaricò lo storico Edgar Bonjour della stesura di un rapporto sulla politica di neutralità svizzera, ciò che scatenò un dibattito pubblico già prima della sua pubblicazione nel 1970.

Al centro dell'interesse continuò a esserci l'operato del governo federale durante la guerra; il ruolo del mondo economico e dei privati praticamente non venne preso in considerazione. Nel 1962 le Camere federali decisero perlomeno di imporre per decreto l'obbligo per le banche di segnalare i cosiddetti fondi in giacenza.

La messa in discussione dell'immagine tradizionale (1975-1995)

La terza ondata assunse contorni meno definiti. Nell'area germanofona, la diffusione dal 1979 di una serie televisiva statunitense sull'Olocausto diede l'impulso iniziale. Mentre esponenti della generazione del servizio attivo e storici quali Peter Dürrenmatt (Schweizer Geschichte, 1976) sottolineavano l'importanza dell'esercito per la difesa dell'indipendenza nazionale, pubblicisti critici come Werner Rings (Raubgold aus Deutschland, 1985) e Markus Heiniger (Dreizehn Gründe warum die Schweiz im Zweiten Weltkrieg nicht erobert wurde, 1989) ponevano l'accento sui rapporti commerciali e finanziari con le potenze dell'Asse, relativizzando nel contempo il ruolo delle forze armate. Il dibattito fu particolarmente intenso nel 1989, anno in cui venne votata l'iniziativa per una Svizzera senza esercito e contemporaneamente si tennero le celebrazioni per i 50 anni della mobilitazione generale.

L'interesse si focalizzò su nuovi problemi quali i legami tra imprese svizzere e l'economia tedesca, come nel caso (ricostruito nel 1989) del rilevamento, da parte della ditta Villiger, della fabbrica di sigari Geska a Cannstatt e Schönaich (Baden meridionale) dai suoi proprietari ebrei, i fratelli Strauss. Al centro dell'attenzione vi furono ora anche le pretese di restituzione individuali riguardanti beni mobili (dai titoli alle polizze assicurative fino alle collezioni di francobolli) e immobili. In questo contesto anche l'atteggiamento delle autorità svizzere fu valutato sotto una nuova prospettiva: la Confederazione aveva adempiuto ai suoi obblighi di sorveglianza e i tribunali avevano tutelato gli interessi delle vittime? Inoltre venne sollevata la questione se all'interno della società svizzera tra gli anni 1920 e il 1945 si fosse verificata una crescita dell'antisemitismo. Il fatto che la politica dissuasiva nei confronti dei profughi fosse rivolta in particolare contro gli ebrei venne tematizzato solo nel corso degli anni 1990.

La Svizzera nel mirino – il dibattito dopo il 1995

La quarta fase del dibattito sulla Svizzera nella seconda guerra mondiale ha avuto inizio nella seconda metà degli anni 1990-2000, e ha riguardato soprattutto il ruolo delle banche e delle imprese svizzere. In seguito a forti pressioni esercitate da organizzazioni ebraiche (soprattutto statunitensi) sotto la direzione di Alfonse d'Amato, senatore americano, e di Edgar Bronfman, rappresentante della World Jewish Restitution Organization, nel febbraio del 1997 le tre grandi banche svizzere, la Banca nazionale e altre ditte hanno istituito un fondo speciale per le vittime dell'Olocausto, che fino al suo scioglimento alla fine del 2002 ha attribuito ca. 300 milioni di frs. a 300'000 persone di 60 Paesi. Nel 1996 le organizzazioni ebraiche internazionali e l'Associazione svizzera dei banchieri hanno concordato la costituzione del cosiddetto comitato Volcker (Indipendent Committee of Eminent Persons), finalizzato al ritrovamento di fondi appartenuti a vittime del nazismo depositati presso banche svizzere. Dal rapporto finale pubblicato nel 1999 è emerso che gli istituti di credito svizzeri non si erano comportati in maniera sistematicamente scorretta per quanto riguarda la gestione dei fondi in giacenza, ma che nel dopoguerra essi avevano spesso assunto un atteggiamento poco sensibile e poco cooperativo nei confronti dei discendenti delle vittime alla ricerca dei patrimoni dei loro familiari.

Nel 1998 le due maggiori banche svizzere (UBS e Credit Suisse) hanno concluso un concordato con gli avvocati dei promotori della causa collettiva nei loro confronti e con le organizzazioni ebraiche, con cui si sono impegnate a versare 1,8 miliardi di frs., così suddivisi: 150 milioni destinati ad aiuti umanitari, 500 milioni per i profughi respinti alla frontiera svizzera e 1,15 miliardi per le pretese relative ai fondi in giacenza. La distribuzione del denaro è però risultata problematica, viste le difficoltà a individuare le numerose vittime a distanza di anni.

Presentazione alla stampa del rapporto intermedio della Commissione indipendente d'esperti, detta "commissione Bergier", il 26.9.1999 a Berna. Fotografia di Karl-Heinz Hug (Ringier Bildarchiv, RC04406224) © Staatsarchiv Aargau / Ringier Bildarchiv.
Presentazione alla stampa del rapporto intermedio della Commissione indipendente d'esperti, detta "commissione Bergier", il 26.9.1999 a Berna. Fotografia di Karl-Heinz Hug (Ringier Bildarchiv, RC04406224) © Staatsarchiv Aargau / Ringier Bildarchiv. […]

Nel dicembre del 1996, il parlamento ha gettato le basi per la creazione della Commissione indipendente d'esperti Svizzera - seconda guerra mondiale (CIE) diretta da Jean-François Bergier, a cui è stato attribuito il compito di analizzare i rapporti economici e finanziari con l'estero della Svizzera, il problema dei fondi in giacenza e la politica d'asilo. I risultati delle ricerche sono confluiti in 25 studi (2001-2002) e nel rapporto finale pubblicato nel 2002.

I lavori della CIE hanno suscitato un dibattito anche aspro e le critiche di una parte dell'opinione pubblica e di esponenti dei partiti borghesi. Il Gruppo di lavoro storia vissuta, nato nel 1997, ha cercato di relativizzare i risultati delle ricerche della CIE e di contrapporvi gli aspetti positivi del ruolo della Svizzera nella seconda guerra mondiale. Le valutazioni esposte nel rapporto finale della CIE sono state comunque accolte favorevolmente dalla maggior parte degli storici e da vasti settori dell'opinione pubblica; l'esistenza di lati oscuri nella politica d'asilo e nelle relazioni economiche con le potenze dell'Asse risulta ormai accettata. La questione dell'effettivo margine di manovra di cui beneficiarono le autorità federali e gli industriali è di difficile soluzione: in linea di principio una politica alternativa verosimilmente non sarebbe stata possibile, mentre in alcune situazioni concrete si sarebbe potuto agire in maniera diversa.

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Link

Suggerimento di citazione

HLS DHS DSS; Hans Senn; Mauro Cerutti; Georg Kreis; Martin Meier; Lucienne Hubler; Andreas Schwab: "Guerra mondiale, Seconda", in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 11.01.2015(traduzione dal tedesco). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/008927/2015-01-11/, consultato il 19.03.2024.