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Alpi

Le Alpi coprono quasi i due terzi del territorio svizzero e hanno lasciato una forte impronta sulla storia del Paese; è quindi sembrato opportuno riunire in un unico articolo tutti gli elementi che hanno caratterizzato la storia delle regioni alpine svizzere, esponendoli in forma riassuntiva secondo una ripartizione per grandi periodi e per temi.

Questo articolo non si basa su una definizione precisa del concetto di Alpi come sviluppato dalla geografia fisica (criterio dell'altitudine), dalla geografia umana (popolazione) o dalla geografia politica (cantoni alpini o parzialmente alpini), perché i rispettivi criteri non rendono conto dell'evoluzione storica nelle sue fasi successive e nei suoi diversi aspetti. Il termine «Alpi» è piuttosto inteso nell'accezione corrente, nel senso di vasto spazio dal rilievo accentuato comprendente il fondo dei solchi glaciali. Alle Alpi propriamente dette sono associate le Prealpi, nella misura in cui esse hanno avuto – a eccezione di differenze regionali – un destino sensibilmente identico; in altre parole, il concetto di Alpi è qui inteso in contrapposizione ai due altri spazi naturali del Paese, l'Altopiano svizzero e la catena del Giura. Il discorso riguarda soltanto la parte svizzera delle Alpi (14% ca. dell'area totale), benché molte delle realtà qui esposte valgano anche per tutto o parte del massiccio alpino, al di là delle frontiere che l'arbitrio della storia politica ha tracciato.

L'arco alpino da Marsiglia a Vienna
L'arco alpino da Marsiglia a Vienna […]

Una storia complessiva e coerente delle Alpi non è ancora allo stato attuale realizzabile: nonostante le numerose monografie locali e qualche studio tematico di più ampio respiro, essa è in effetti soltanto agli inizi. In questo testo, che non può quindi essere considerato una sintesi neppure per il solo spazio alpino svizzero, sono giustapposte informazioni e prospettive di più autori con approcci diversi e provenienti da varie discipline; non è stato pertanto possibile evitare del tutto ripetizioni, eventuali contraddizioni e fratture, che concorrono tuttavia anch'esse a illustrare la complessità del soggetto.

Storia naturale, Preistoria ed epoca romana

L'ambiente naturale

Orogenesi, rocce e geomorfologia

L'area naturale della Svizzera è in gran parte determinata dal rilievo alpino. Nel corso del Terziario (66-1,5 milioni di anni fa) la deriva dei continenti provocò in varie tappe, a partire da sud, il sollevamento, il piegamento e la sovrapposizione dello zoccolo cristallino (specialmente graniti, gneiss) e dei sedimenti soprastanti formatisi durante il Mesozoico (230-66 milioni di anni fa) nel cosiddetto Mar della Tetide, più precisamente sull'orlo costiero settentrionale (coltre elvetica), nella fascia centrale più profonda di mare aperto (coltre penninica) e al margine meridionale (coltre alpina orientale). Il materiale derivato dalle erosioni colmò durante milioni di anni il bacino di molassa a nord delle Alpi e della pianura padana.

Struttura geologica e petrografica della Svizzera
Struttura geologica e petrografica della Svizzera […]

In seguito a mutamenti climatici (glaciazioni), nel Pleistocene (1,5 milioni-10'000 anni fa) i ghiacciai alpini avanzarono più volte nell'Altopiano, disegnando la morfologia delle valli alpine con un profilo trasversale a «U» provvisto di gradoni vallivi, e abradendo intensamente i passi più bassi. I laghi prealpini postglaciali sono dovuti a fenomeni di erosione più recente: in origine molto più estesi verso monte, vennero in parte colmati da frane, erosioni e depositi; bacini postglaciali modificarono invece relativamente poco la morfologia. Attualmente alcune zone boscose, formatesi sui depositi di grandi frane, delimitano tratti vallivi con uno sviluppo diverso (per esempio il bosco di Finges tra alto e basso Vallese, il Kernwald tra Obvaldo e Nidvaldo, la frana di Flims tra Surselva e Sutselva). Anche i coni di deiezione sono in gran parte posteriori all'ultima glaciazione; situati più in alto dei fondivalle, su di essi vennero edificati numerosi villaggi per evitare di venire sommersi dalle piene (fino al XIX o agli inizi del XX secolo).

Clima, suolo, flora e fauna

Clima, suolo, flora e fauna formano, con la geomorfologia e l'idrografia, un complesso sistema di condizioni naturali che hanno fatto da premessa alla colonizzazione e allo sfruttamento antropico delle Alpi; gli habitat alpini presentano perciò una spiccata varietà.

Il clima alpino varia notevolmente a seconda della conformazione del territorio: le temperature diminuiscono con l'altitudine, mentre in altri contesti geografici le precipitazioni aumentano; nell'intera area alpina, tuttavia, la quantità di precipitazioni è ripartita in forma molto eterogenea. Soprattutto i venti occidentali convogliano aria marina atlantica; le vette più esposte dei grandi massicci bernesi e vallesani registrano precipitazioni massime di oltre 400 cm annui, mentre le valli interne del Vallese e dei Grigioni sono isole di aridità (Sion: 51 cm annui). A causa dell'effetto di sbarramento, i venti settentrionali e meridionali convogliano sui rispettivi versanti esposti al vento precipitazioni copiose; su quelli a sottovento, specialmente in valli a decorso trasversale rispetto allo spartiacque principale, si hanno invece venti discendenti caldi e secchi (favonio).

La cresta alpina traccia una frontiera climatica. Le fasce di vegetazione collinare, montana, subalpina, alpina e nivale presentano altitudini diverse sui due versanti: verso nord il limite climatico delle nevi è approssimativamente di 2400 m e il limite superiore del bosco di 1800, verso sud i due limiti risalgono di ca. 400-600 m. Altra conseguenza del rilievo è la formazione di microclimi, che variano in misura rilevante anche a breve distanza a seconda dell'irraggiamento solare e della lunghezza del giorno. Le differenze termiche fra i versanti meridionale e settentrionale, ad esempio, sono particolarmente forti nelle valli disposte da ovest a est, determinando fasce climatiche a seconda dell'altitudine e quindi anche della vegetazione: lo sfruttamento agricolo è di conseguenza influenzato notevolmente da questi fattori.

I suoli dominanti nelle Alpi si possono classificare, a seconda della composizione chimica e mineralogica, in silicei e carbonatici. Sul substrato ricco di silicati (per esempio graniti, gneiss) della fascia altitudinale alpina, spesso si sono formati suoli superficiali, sassosi o rocciosi a debole capacità di decomposizione e con una coltre di humus acida; questi terreni, tipici dei boschi di conifere, sono poco adatti all'agricoltura o all'alpicoltura. I suoli profondi carbonatici, alcalini (calcari marnosi, dolomie, flysch ecc.), si prestano invece all'alpicoltura. Altri fattori di fertilità sono il bilancio termico e la capacità nutritiva, l'aerazione e la profondità, che influenzano in misura decisiva la crescita e il sistema radicale delle piante. Caratteristici delle valli con terrazze a meridione sono i suoli caldi, sabbiosi o sassosi, che spesso vengono dilavati da forti piogge ma che asciugano in profondità nei periodi prolungati di siccità (per esempio nel Ticino e nella valle Poschiavo). Nelle valli asciutte interne, ben soleggiate e calde, i tipi edafici si contraddistinguono per la scarsità di acqua; i fondivalle spesso inondati presentano suoli più ricchi di sostanze minerali e più fertili (per esempio valle del Rodano, Bassa Engadina). Un clima piuttosto piovoso e fresco caratterizza i suoli delle colline nordalpine; profondi, argillosi o sabbiosi, hanno marne poco permeabili che in alcuni casi provocano ristagni. Le formazioni paludose su flysch (scisti a grana fine, arenarie) si distinguono per la dominanza di giunchi e di altre specie poco ricercate come foraggio. In situazioni particolari si sono formate paludi montane (per esempio zona di Lenzerheide e Saanenland), paludi da interramento (per esempio fra Hohgant e Pilatus) e terreni alluvionali (in particolare vicino allo sbocco dei grossi fiumi dalle valli).

Le fasce di vegetazione a settentrione delle Alpi sono particolarmente circoscritte. Sotto il limite dei pascoli alpini inizia una zona di arbusti contorti (pino mugo, ontano verde), che verso il basso si trasforma gradualmente in peccete (boschi di abete rosso) sempre più fitto; più sotto vi è una cintura con boschi di latifoglie (specialmente faggio e abete bianco) cui segue una zona collinare (faggio, abete bianco, querce). In queste fasce nei versanti meridionali asciutti del Ticino e del Vallese domina la roverella o l'orniello; nelle valli alpine centrali, invece, alla fascia dell'abete rosso non segue il bosco di latifoglie ma quello di pino silvestre. A nord il limite superiore del bosco è formato dal peccio, nelle valli alpine centrali e sudalpine dal larice e dal cembro.

La storia postglaciale della vegetazione nelle Alpi mostra che fin dal Neolitico l'uomo modificò profondamente la flora. I pollini dei cereali, delle erbe utili e di quelle infestanti aumentarono in misura maggiore rispetto a quelli di pecci e altri alberi; tuttavia dissodamento e pascolazione (in foresta o in alpeggio) crearono gradualmente radure e ridussero la superficie dei boschi. I terreni migliori, profondi, dei fondivalle e dei bordi vallivi furono i primi a venire utilizzati dai contadini; visto che la campicoltura determinò un'erosione di zone piuttosto ripide, in seguito si optò per lo sfruttamento di suoli meno profondi. Attualmente si definiscono formazioni antropizzate le associazioni vegetali dovute soprattutto a interventi umani: per esempio le selve castanili che furono coltivate fin dall'epoca romana nella fascia collinare del versante sudalpino.

La fauna alpina si distingue in cinque regioni zoogeografiche (Alpi settentrionali, Vallese, Alpi meridionali, Grigioni, Engadina), ognuna delle quali è suddivisa in zona di monte e in zona di piano. L'uomo ha modificato l'equilibrio delle specie selvagge, sia nella quantità sia nelle varietà delle specie: la caccia, l'economia di raccolta del cibo, l'agricoltura, più tardi le attività di bonifica e la colonizzazione, seguite recentemente anche dal turismo e dallo sport, hanno fortemente influito sulla fauna alpina. Alcune specie (per esempio stambecco, lupo, orso, avvoltoio degli agnelli, marmotta, camoscio, lince), sterminate interamente o quasi fino agli inizi del XX secolo, sono state parzialmente reintrodotte grazie a misure di protezione della natura.

Storia del clima

Lo studio dell'evoluzione climatica e della vegetazione nell'area alpina svizzera dalla fine dell'epoca glaciale è possibile attraverso i metodi propri della climatologia e della glaciologia. Le conoscenze acquisite hanno permesso di ricostruire le seguenti epoche: nel periodo dell'optimum termico (ca. 7400-4900 a.C.) il limite delle nevi era ca. 200-300 m più elevato di quello attuale e la fascia di vegetazione boschiva raggiunse la sua massima altitudine; da allora gli interventi dell'uomo (specialmente dissodamento, pascolazione, attività estrattive, disboscamento) abbassarono il limite rispetto al potenziale naturale. Due raffreddamenti (ca. 4100-3800 e 3600-3200 a.C.) caratterizzarono le fasi fredde registrate nel Neolitico, alle quali seguì una fase di riscaldamento (ca. 2800-1000 a.C.) prolungatasi nel Neolitico tardo e nell'età del Bronzo, consentendo di estendere le attività economiche e gli insediamenti ai siti più elevati. Nel periodo glaciale (ca. 1000-300 a.C.) e durante la tarda antichità, la dominazione romana coincise quasi completamente con un periodo di riscaldamento (ca. 250 a.C.-400 d.C.), che favorì l'insediamento, i traffici e l'economia.

Soldati colti di sorpresa da una valanga sul massiccio del Gottardo. Copia di un'illustrazione tratta dalla Eidgenössische Chronik di Werner Schodeler, in una versione del 1572 di Christoph Silberysen (Aargauer Kantonsbibliothek, Aarau, MsWettF 16: 2, fol. 251v; e-codices).
Soldati colti di sorpresa da una valanga sul massiccio del Gottardo. Copia di un'illustrazione tratta dalla Eidgenössische Chronik di Werner Schodeler, in una versione del 1572 di Christoph Silberysen (Aargauer Kantonsbibliothek, Aarau, MsWettF 16: 2, fol. 251v; e-codices).

Nel Medioevo solo il X e il XIII secolo registrarono temperature miti; verso il 1100 vi fu di nuovo una lieve avanzata dei ghiacciai. Intorno al 1300 un rapido raffreddamento degli inverni avviò la piccola era glaciale, caratterizzata in particolare dall'alternanza di estati freddo-umide che compromise ripetutamente l'agricoltura alpina. I pascoli in altitudine restarono innevati in permanenza; gli alpeggi vennero di conseguenza poco utilizzati a causa delle frequenti nevicate, mentre le piogge rovinarono la fienagione e provocarono forti cali nella produzione lattiera invernale; numerose piante da frutta non giunsero a maturazione. Questo insieme di fattori causò frequenti carestie prima del tardo XIX secolo. Le leggende della Blüemlisalp si ispirarono forse al periodo di avanzata dei ghiacciai degli anni 1347-1370 e intorno al 1600: i ghiacciai vallivi (ad esempio l'Unterer Grindelwaldgletscher) raggiunsero di nuovo terreni coltivati, mentre gli inverni umidi, specialmente degli anni 1718-1727, causarono a più riprese valanghe disastrose. Dal 1812 al 1860 si ebbero i freddi estivi più intensi dal basso Medioevo: in particolare nel periodo 1829-1876 le forti e frequenti piogge di fine estate e autunnali causarono una serie di devastanti inondazioni che evidenziarono le conseguenze del disboscamento.

Nel XX secolo lo scioglimento delle nevi fu più precoce; negli anni 1945-1953 si registrò un picco termico estivo. Attorno al 1980, lo scioglimento delle nevi è avvenuto più tardi in seguito a un aumento delle precipitazioni invernali e primaverili. L'infittirsi di colate di fango e di inondazioni nella seconda metà del periodo climatico 1961-1990 non è dovuto a un cambiamento climatico incipiente, ma alla straordinaria serie di inverni miti della fine degli anni 1980, segno di un cambiamento netto nelle condizioni climatiche. Mancano finora dati certi sulla risalita del limite del permafrost.

Preistoria

La dinamica dei fenomeni naturali caratteristici dell'ambiente alpino ha determinato le condizioni di vita umana, limitando di molto le basi di sussistenza e richiedendo forti capacità di adattamento. Eppure la catena alpina fu precocemente percorsa dall'uomo, già prima delle ultime avanzate glaciali del Würm, e colonizzata in permanenza a partire dal Neolitico grazie all'esistenza in alcune zone di risorse quali la selvaggina ungulata, i pascoli alpini, i giacimenti metalliferi e di altro tipo. Vennero inoltre create vie di transito per permettere attività di scambio e di commercio.

Le forze della natura agirono anche sui siti archeologici, coprendoli spesso di detriti, depositando altrove o distruggendo possibili reperti; tuttavia esse consentirono anche scoperte casuali (soprattutto prima del 1970), che assieme a ricerche selettive in punti di particolare interesse topografico hanno contribuito in misura decisiva al ritrovamento di buona parte del materiale attualmente a disposizione. Solo forti modifiche del sottosuolo legate ad attività edilizie moderne hanno consentito, per esempio, di scoprire le strutture neolitiche a 5-8 m di profondità in località Tec Nev (Mesocco) o Sous-le-Scex (Sion).

Le tracce più antiche di attività antropiche rinvenute finora nelle Alpi elvetiche si trovano in alcune grotte della Svizzera orientale (Drachenloch, Wildenmannlisloch, Wildkirchli), del Simmental e del basso Vallese (presso Vouvry); si tratta di depositi usati stagionalmente da gruppi di cacciatori del medio e tardo Paleolitico (ca. 50'000-10'000 anni fa). Dall'VIII millennio a.C., poco dopo il ritiro dei ghiacciai, penetrarono nelle Alpi gruppi di popolazioni mesolitiche; prove in tal senso sono gli oggetti ritrovati nel rifugio di Collombey-Muraz, o le tracce del deposito a Château-d'Œx. Si tratta di vestigia poco numerose, anche se gli accampamenti di cacciatori scoperti a oltre 2000 m nella parte italiana dello Spluga fanno supporre futuri ritrovamenti anche in Svizzera.

La situazione cambiò dal V millennio a.C., quando con il Neolitico giunsero nelle Alpi comunità di coltivatori e di allevatori. I relativi dati archeologici riguardano segnatamente le valli; sembra che la localizzazione degli abitati venisse scelta in base alla qualità del suolo e al clima, come bene esemplifica il sito di Heidnisch-Bühl (Raron). La nuova forma di sussistenza, basata sulla cerealicoltura, e le successive attività di dissodamento si riflettono nei profili pollinici di torbiere e laghi alpini.

Sito di Rossplatten, sopra Hospental (Fotografia Philippe Della Casa).
Sito di Rossplatten, sopra Hospental (Fotografia Philippe Della Casa). […]

Lo sfruttamento di risorse naturali si intensificò e si diversificò nel corso del Neolitico: per esempio nel sito di Petrushügel (Cazis), che risale al tardo Neolitico e dove sono visibili tracce tipiche di una comunità specializzata nella caccia al cervo, o in quello di Rossplatten (Hospental), dove si producevano utensili con cristallo di rocca reperito nelle gole circostanti. Già allora l'area alpina era pienamente integrata nel sistema di riferimento dei gruppi culturali europei; a Petit-Chasseur (Sion) si insediò, per esempio, una nuova popolazione i cui corredi sepolcrali comprendono tipici vasi campaniformi.

L'espansione e lo sfruttamento della terra e delle risorse naturali proseguirono nell'età del Bronzo (2000-800 a.C.). Gli abitati dell'epoca sorsero anche in valli discoste, come a Crestaulta (Lumbrein) in Lumnezia; reperti isolati sono stati ritrovati anche nella fascia comprendente pascoli alpini e passi d'alta quota. La ricerca di nuovi minerali metallici e la fabbricazione di nuove materie prime (rame, più tardi ferro) contribuì forse a intensificare la colonizzazione; la riduzione e la lavorazione dei metalli sono attestate, specialmente nell'Oberhalbstein, dalla scoperta di discariche preistoriche di scorie e da tracce di artigianato nell'insediamento sul Padnal (Savognin).

Anche se le fonti sono meno numerose, gli insediamenti umani nell'età del Ferro (800-15 a.C.) non sembrano essere regrediti rispetto all'età del Bronzo. Soprattutto i reperti di tombe riportati alla luce a Tamins rivelano forme nordalpine e sudalpine, che attestano l'importanza dei traffici e dei commerci attraverso le Alpi; ulteriori prove sono le tombe ricche di oggetti metallici rinvenute a Castaneda, allo sbocco della valle Calanca, o i tesori celtici  – monete, reperti in metallo prezioso – scoperti a Erstfeld e a Burvagn.

Epoca romana

Per molto tempo i Romani quasi non prestarono attenzione alla presenza delle Alpi: circolavano voci terribili a proposito dei loro abitanti (Celti o Reti), considerati barbari ostili, e sui pericoli nell'attraversarle. Si sapeva però che la catena era transitabile: l'avevano varcata i Galli che avevano occupato l'Italia del nord. Dopo aver conquistato la Gallia Cisalpina (II secolo a.C.), Roma si premunì dai rischi di invasione insediando o consolidando piazzeforti: per esempio Eporedia (Ivrea) allo sbocco del Piccolo e del Gran San Bernardo, oppure Comum (Como) vicino ai passi Spluga, Settimo e Julier.

Popoli alpini in epoca romana
Popoli alpini in epoca romana […]

In un primo tempo i Romani assicurarono il passaggio delle Alpi negoziando con notabili o dinastie locali. Visto che il tentativo di Cesare di impadronirsi del Gran San Bernardo (57/56 a.C.) fallì a Octodurus (De bello gallico, III, 1-6), le Alpi svizzere caddero in mani romane solo quando Tiberio e Druso, con le loro operazioni contro Reti e Vindelici, riportarono le frontiere imperiali al Reno e al Danubio (15 a.C.). Le Alpi furono quindi integrate nella nuova provincia della Rezia, dei Vindelici e della Vallis Poenina (Vallese), con capitale Augusta (Augusta Vindelicorum); il Ticino meridionale e la valle Bregaglia rimasero invece legati alla Gallia Cisalpina. Il Vallese fu separato, verosimilmente sotto Claudio (41-54 d.C.), e formò una nuova provincia spesso (o sempre?) unita alle Alpi Graie sotto l'autorità di uno stesso governatore imperiale (procurator), residente in alcuni casi a Axima (Aime-en-Tarentaise, Francia) e in altri a Octodurus (centri fondati fra il 41 e il 47 d.C.). Questa riorganizzazione delle province può essere messa in relazione con il compimento del valico del Gran San Bernardo, che da allora sembra fosse percorribile con carri sull'intero tracciato; questa strada imperiale costituiva il collegamento più diretto fra Italia e Gran Bretagna, la cui conquista venne intrapresa da Claudio all'inizio del suo regno. In quel periodo i Ceutroni delle Alpi Graie, così come tutti i Vallesani («octoduriani»), ricevettero probabilmente la cittadinanza latina.

I Romani si interessarono alle Alpi per il controllo, il potenziamento e la manutenzione delle vie transalpine e non per il possesso di nuovi territori; in alcuni casi stabilirono, in sostituzione di vecchi pedaggi, la Quadragesima Galliarum, una tassa del 2,5% prelevata su qualsiasi merce varcasse le Alpi in un senso o nell'altro. Durante l'alto Impero nessuna truppa venne stazionata nelle Alpi svizzere e nessun abitato alpino fu fortificato; fanno eccezione alcuni distaccamenti adibiti al controllo delle strade o appartenenti allo Stato maggiore dei governatori delle province.

La popolazione locale era attiva nel trasporto di merci e di viaggiatori, nella manutenzione di strade, nel servizio militare, nell'agricoltura (cereali), nell'apicoltura, nell'allevamento (ovino, caprino, suino e bovino), nella selvicoltura, nell'estrazione di piombo argentifero, rame, ferro, marmo, calcare, pietra ollare e cristallo di rocca. Il legname veniva esportato fino a Roma, dove si apprezzava anche il formaggio delle Alpi.

La romanizzazione ebbe ripercussioni soprattutto sul traffico lungo i grandi assi alpini e nei loro dintorni a Martigny, a Massongex, a Coira, nelle villae di Sargans e Nendeln (Eschen, principato del Liechtenstein), a Bellinzona, nei centri di trasbordo delle merci e allo sbocco dei passi di importanza secondaria (Locarno-Muralto), in centri regionali e nelle tenute agricole di notabili locali, ad esempio sul versante soleggiato vallesano a Fully, Ardon, Conthey, Sion, Sierre, nelle stazioni di cambio (mutationes), nelle sedi di tappa (mansiones) come Riom e nei santuari che costellavano i grandi itinerari transalpini. Altrove essa non comportò grossi cambiamenti, nonostante la diffusione piuttosto vasta di molti prodotti importati (vasellame, fibule, ornamenti), l'introduzione della moneta e l'uso del latino come lingua di comunicazione: per esempio gli abitanti di Gamsen – agglomerato indigeno ai piedi del Sempione, allora passo di importanza regionale – continuarono a vivere in capanne simili a quelle costruite dai loro antenati nell'età del Ferro, ignorando il grado di sviluppo materiale di cui godevano numerose popolazioni alpine coeve. La romanizzazione apparentemente minore dei Grigioni dipese dalla sistemazione della via Claudia Augusta (ca. 50 d.C.): quest'ultima, che varcava il passo di Resia e il Fernpass (Austria), attirò il grosso dei traffici tra l'Italia e la regione di Augusta, prima di venire soppiantata a sua volta, più a est, dal Brennero.

La Raetia fu governata sia da un legato di rango senatoriale sia da un procuratore equestre, a seconda delle truppe che vi stazionavano. Nel basso Impero vennero fortificati gli abitati situati in altitudine nelle Alpi retiche: ad esempio a Schaan-Krüppel (Liechtenstein), Castiel-Carschlingg (Grigioni), Tiefencastel (Grigioni), Coira. Durante questo periodo di insicurezza le invasioni barbariche, bloccate nel passaggio di Saint-Maurice, non sembrano avere colpito il Vallese. Una sede vescovile è attestata a Martigny almeno dal 381, mentre quella di Coira, allora capitale provinciale della Raetia prima, risale alla metà del V secolo.

Storia sociale

Insediamento, struttura politica e sociale nel Medioevo

Insediamento e popolazione

Dal IV secolo in avanti il fianco settentrionale delle Alpi costituì una zona di rifugio per la popolazione galloromana, costretta a ripiegare dalla pressione degli Alemanni, e conservò dunque ancora a lungo elementi romani. Già nel tardo VI secolo cominciarono a penetrare nelle valli sudalpine i Longobardi, che tuttavia vennero successivamente romanizzati; mentre nelle Alpi centrali i primi coloni alemanni giunsero nel VII secolo, la Rezia fu germanizzata solo a partire dall'XI secolo. Nella zona asciutta del Vallese i coloni alemanni si spinsero fino ai 1500 m; a partire da quest'area e dal XII secolo essi avviarono un'altra migrazione: oltre a tornare nell'Oberland bernese, i Walser varcarono lo spartiacque alpino e raggiunsero le valli alte meridionali e, verso est, diverse zone dei Grigioni. Questi movimenti migratori facevano già parte dei dissodamenti del basso Medioevo.

Sull'onda della colonizzazione interna vennero resi accessibili anche luoghi meno favorevoli (pendii elevati ed esposti a bacìo, valli laterali o arretrate), dove si insediarono in special modo fattorie sparse di allevatori. Sui fondivalle e ai piedi dei pendii, dove si praticava un'economia mista (agricoltura e allevamento), gruppi di fattorie e casali si trasformarono in villaggi, con un processo evolutivo che continuò anche dopo il Medioevo. Nelle valli principali alcuni insediamenti ebbero uno statuto giuridico privilegiato o assolvettero le funzioni di centro (le città vescovili di Coira e Sion, altri piccoli centri urbani fortificati); la forma più importante della sede di mercato in area alpina, tuttavia, era il borgo privo di cinta muraria.

Lo sviluppo demografico medievale nelle Alpi svizzere può essere descritto solo nelle sue grandi linee: le fonti solo di rado forniscono dati numerici affidabili, che per lo più riguardano il tasso di mortalità. Una stima molto sommaria dà per il versante nordalpino, intorno al 1300, una popolazione di 150'000-180'000 abitanti (7-10 abitanti/km2). Meno complesso risulta delineare le linee di tendenza, cioè una crescita generale (cominciata già nel IX/X secolo) e due rallentamenti. La prima di queste crisi demografiche, agli inizi dell'XI secolo, fu legata all'abbandono di parte delle terre coltivate e degli insediamenti (villaggi abbandonati); la seconda, alla cui origine vi furono avversità climatiche nella prima parte del XIV secolo, si acuì drammaticamente con la peste del 1349 e con le epidemie successive, provocando anch'essa l'abbandono di villaggi. In certe regioni alpine, tuttavia, sembra che le epidemie fossero meno devastanti che in pianura: anche la cosiddetta crisi del tardo Medioevo, ad esempio, legata appunto a fenomeni epidemici, si manifestò nell'area alpina in misura minore che altrove. Alcuni ricercatori ipotizzano un possibile effetto-spinta di una certa sovrappopolazione per i movimenti migratori cominciati nel basso Medioevo e per il servizio mercenario del tardo Medioevo.

Strutture di potere e loro genesi

Le strutture di potere più stabili dell'area alpina furono, nelle epoche precedenti il tardo Medioevo, i vescovadi di Coira e di Sion; entrambi erano soggetti fin dal VI secolo al regno franco, che però impose le sue pretese di dominio solo gradualmente (nella Rezia curiense non prima dell'VIII secolo).

Furono i monasteri a rendere possibile l'inserimento dell'area alpina nella rete politica ed economica circostante. Il più antico monastero alpino, quello di Saint-Maurice nel basso Vallese, venne fondato da Sigismondo nei primi decenni del VI secolo come convento privato dei re Burgundi, e costituì un centro intellettuale anche per il regno di Borgogna. Nel quadro della politica di espansione carolingia rientrano le principali fondazioni di conventi in ambito retico (Pfäfers, Disentis, Müstair); in particolare quello di Disentis fu favorito, anche in seguito, dalla politica degli Ottoni e degli Hohenstaufen, interessati sia a una Chiesa imperiale sia ai valichi alpini. Nelle Alpi centrali una vera e propria rete di abbazie e capitoli sostenne la penetrazione del potere signorile: Säckingen (Glarona), Schänis (Glarona e Svitto), Einsiedeln (Svitto), Fraumünster di Zurigo e Wettingen (Uri), Lucerna-Murbach, Beromünster, Muri ed Engelberg (Untervaldo), Interlaken (alto bacino dell'Aar) e il capitolo del duomo di Milano (valli di Blenio e Leventina, comprese la valle Bedretto e la Riviera).

Dal XII secolo le valli alpine vennero coinvolte nella formazione delle signorie altonobiliari. Dal Lemano i conti di Savoia penetrarono nel basso Vallese ed entrarono in conflitto permanente con il vescovo di Sion; a partire dall'Altopiano si ebbero interventi di colonizzazione da parte dei conti von Lenzburg (Glarona, Svitto, Obvaldo, Leventina e valle di Blenio) e di espansione territoriale da parte dei duchi von Zähringen (Oberland bernese). Accanto a queste case dinastiche, altre famiglie dell'alta nobiltà si affermarono come proprietari fondiari o come avogadri di istituzioni ecclesiastiche: i signori von Rapperswil (Svitto, Uri), von Attinghausen (Uri), Brienz-Ringgenberg-Raron (Uri, Obvaldo, Oberland bernese, alto Vallese), von Strättligen e von Weissenburg (Oberland bernese), i vom Turn (Oberland bernese, alto Vallese) e i conti de Gruyère (alta valle della Sarina). Avogadri del vescovo di Coira furono i signori von Vaz, insediati nei pressi di Coira e sul Reno posteriore, e i von Matsch, in Bassa Engadina, in val Monastero e a Poschiavo.

Prima della seconda metà del XIII secolo le signorie e i diritti di avogadria più importanti fra il Reno superiore e lo spartiacque alpino finirono agli Asburgo, che tuttavia non riuscirono a imporre la loro signoria territoriale nelle valli alpine. Le comunità di Uri e Svitto fecero valere l'immediatezza imperiale che avevano ottenuto sotto gli Hohenstaufen; del medesimo statuto giuridico beneficiava, da tempi più recenti, anche Untervaldo. Intorno alla metà del XIV secolo i tre Paesi forestali sottrassero al potere austriaco anche il canton Glarona. L'Oberland bernese passò sotto il controllo della città di Berna entro l'inizio del XV secolo, la zona di Aigle nel corso delle guerre di Borgogna (1475).

Fino alla metà del XV secolo nei Grigioni le signorie autonome dell'alta nobiltà (von Toggenburg e loro successori, von Matsch, Werdenberg-Sargans, Werdenberg-Heiligenberg, von Rhäzüns, Sacco-Mesolcina), oltre all'abbazia di Disentis, conservarono la loro indipendenza. Alcuni di questi signori aderirono alla Lega superiore o Lega Grigia (1400 ca.), che nella seconda metà del XV secolo si associò alla Lega Caddea e alla Lega delle Dieci Giurisdizioni, ex aggregato signorile dei von Toggenburg, dando vita alle Tre Leghe. In questa formazione l'élite politica era costituita, tra gli altri, sia da esponenti dei ministeriali vescovili (le famiglie Planta, Marmels, Schauenstein, Lumbrein) sia da esponenti di famivlie di origine contadina in ascesa sociale (Capaul, Sprecher).

Nel tardo Medioevo acquistarono importanza politica le comunità di valle, le giurisdizioni e le decanie vallesane, che appaiono quali forme di collettività tipicamente alpine (grandi in quanto comunali, piccole in quanto strutture protostatali). Le decanie del Vallese e le giurisdizioni della Rezia curiense influirono sull'amministrazione territoriale. La Dieta delle decanie altovallesane rivendicò diritti ancora più ampi di quelli della Lega Caddea, soprattutto in materia di nomina del vescovo. La popolazione dell'alto Vallese sostituì nelle posizioni di potere i baroni von Raron e vom Turn; scacciò la nobiltà savoiarda dal capitolo cattedrale di Sion e, nelle guerre di Borgogna, conquistò la parte bassa della valle.

Dopo il 1400 si rafforzarono i contatti politici fra le comunità di valle delle diverse regioni. I cantoni forestali di Uri e Untervaldo si allearono con le decanie altovallesane per poi avanzare militarmente nell'Ossola; dopo ripetuti tentativi, entro il 1500 la Svizzera centrale acquisì il controllo delle valli di Blenio e Leventina; la Lega Grigia si alleò con Glarona e nel tardo XV secolo annesse la Mesolcina.

Struttura sociale e vita quotidiana

Ampie fasce del territorio alpino conobbero il processo di feudalizzazione in misura minore rispetto alle regioni poste più in basso, con una servitù (della gleba) presumibilmente meno diffusa e la possibilità di dissodare liberamente terre ancora incolte. Un fenomeno comune dell'ordinamento agrario tardomedievale fu il tramonto delle riserve signorili; in diverse regioni alpine vennero riscattati i tributi feudali, specialmente nella seconda metà del XIV secolo e nell'Oberland bernese, a Uri, in Obvaldo ecc. Centro del sistema economico e dell'organizzazione sociale non era più la corte (Fronhof) ma la vicinanza (nell'alto Vallese anche corporazione di contadini), associazione locale di produttori contadini che regolava l'utilizzazione di campi e comunati (ripartizione, delimitazione, irrigazione, sfruttamento del suolo). La pratica dell'amministrazione autonoma cooperativa (comunità) si tradusse frequentemente in un consolidamento istituzionale: l'assemblea di residenti divenne comunità di villaggio, per quanto la società rurale di villaggio fosse tutt'altro che omogenea. Il debole potere dei signori fondiari rese possibile una crescente individualizzazione delle condizioni di proprietà, almeno per quanto consentito dal controllo vicinale; i poderi furono soggetti in misura maggiore a divisioni, vendite e oneri debitori. In tal modo si formò un'élite che deteneva le cariche più importanti, mentre i semplici residenti, senza diritto di cittadinanza (dimoranti), si trovavano in una condizione di svantaggio. Nella Svizzera centrale si ebbe così un cambiamento nei gruppi dirigenti: alcuni casati, il cui potere era basato sulla signoria fondiaria (von Attinghausen, Meier von Silenen, von Wolfenschiessen, von Hunwil), furono sostituiti da una nuova élite di contadini-allevatori (von Beroldingen, Reding, Wirz, Zelger).

La vita degli abitanti delle Alpi ruotava attorno all'istituzione familiare, che anche nel Medioevo costituiva il gruppo sociale primario e corrispondeva a una comunità di produttori e consumatori coabitanti, le cui strutture potevano tuttavia differire. Almeno nel basso Medioevo il tipo di famiglia più diffuso era il nucleo classico (genitori e figli); la vita comune di nuclei familiari allargati o di stirpi era invece più rara di quanto ipotizzato da studi ormai datati. Le economie domestiche delle grandi famiglia (con altri parenti), pure esistenti, avevano di fatto una struttura polinucleare: si ripartivano cioè in più nuclei, ognuno con un proprio fuoco.

La struttura familiare era correlata a quella della proprietà e dell'azienda; nel corso delle migrazioni stagionali che coinvolgevano fondovalle, maggengo e alpeggio i diversi membri del nucleo familiare si distribuivano fra i vari livelli. In generale le donne erano destinate a compiti «interni», cioè ai lavori legati al raccolto, gli uomini a quelli «esterni», vale a dire alla custodia del bestiame e alla lavorazione del latte. Questi ruoli sessuali, che tuttavia in ambito alpino conoscevano qualche eccezione, erano del tutto inconsueti per gli osservatori esterni che ne derivarono, nel XV secolo, stereotipi ostili agli Svizzeri.

Cristo festivo. Affresco nella chiesa di S. Giorgio a Rhäzüns, 1400 ca. (Servizio monumenti dei Grigioni, Coira; fotografia Wolfgang Roelli).
Cristo festivo. Affresco nella chiesa di S. Giorgio a Rhäzüns, 1400 ca. (Servizio monumenti dei Grigioni, Coira; fotografia Wolfgang Roelli). […]

Aspetti di vita non specificamente alpini, ma tipici di ogni società medievale a carattere agrario-rurale, erano un alto grado di violenza, una mentalità bellicosa e anarchica, una religiosità ostentatoria (con forse tradizioni pagane mescolate alla cultura popolare), un particolare apprezzamento per l'allegria delle feste, in netto contrasto con la realtà lavorativa quotidiana. Le feste erano in genere di natura religiosa, ma erano volentieri celebrate in forma profana; accanto al carnevale vero e proprio, anche le sagre o feste patronali erano occasione di sfoghi carnascialeschi.

Insediamento, struttura politica e sociale in epoca moderna

Insediamento e popolazione

La struttura insediativa che caratterizzò l'area alpina sul finire del Medioevo restò in gran parte immutata nei primi secoli dell'epoca moderna, per quanto l'infittirsi della popolazione comportò l'addensamento anche degli abitati. Intorno al 1800 prevalevano decisamente due tipi insediativi: nel Vallese, nel Ticino e nei Grigioni il villaggio addensato e compatto; nelle valli nordalpine, accanto a villaggi e frazioni, le fattorie isolate, distribuite sul fondovalle o sui pendii.

Dal 1500 al 1800 la percentuale della popolazione alpina sul complesso di quella svizzera scese dal 50 al 28%, ma con tassi di crescita molto diversi da regione a regione. L'incremento demografico più lento si ebbe nelle valli alpine interne (Vallese, Grigioni, Oberland bernese), dove intorno al 1800 la popolazione raggiungeva una densità variabile dai 9 (Bassa Engadina) ai 19 (Oberhasli) abitanti/km2. L'aumento risultò medio nel Ticino settentrionale e nelle Alpi centrali (fino a 19 abitanti/km2 nella valle di Blenio, 32 a Svitto), più rapido a Glarona e nell'Appenzello Esterno (risp. 34 e ca. 200 abitanti/km2 intorno al 1800).

Popolazione dell'area alpina svizzera 1500-1800a

Anno1500160017001800
Popolazione289 000390 000408 000466 000
Tasso di crescita annuale 3‰0,5‰1,3‰
Percentuale rispetto alla popolazione svizzera50%43%34%28%

a Base di calcolo (percentuale rispetto alla superficie totale dei cantoni): UR, SZ, OW/NW, ZG, GL, AI/AR: 100%; TI: 90%; GR, VS: 80%; BE: 20%; VD: 10%.

Popolazione dell'area alpina svizzera 1500-1800 -  Mattmüller, Markus: «Agricoltura e popolazione nelle Alpi centrali», in: Martinengo, Edoardo (a cura di): Le alpi per l'Europa, 1988, S. 65

La crescita demografica relativamente debole delle regioni alpine nella prima età moderna non si spiega né con le epidemie né tantomeno con la peste, che fino al 1668 colpì più volte l'intera Svizzera. Il contagio, infatti, in genere si diffondeva da Basilea o da Ginevra, e a volte qualche valle remota restava risparmiata; inoltre, la Svizzera centrale e il Ticino furono meno colpiti grazie alle severe misure di polizia sanitaria adottate dalle città dell'Italia settentrionale. Viceversa nell'area alpina, in molti luoghi priva di cereali, i rincari dei prodotti alimentari provocarono frequentemente crisi di sussistenza, con carestie e aumenti di mortalità; conseguenze analoghe ebbero gli anni rivoluzionari 1798-1803, in seguito alle occupazioni straniere e alle spedizioni militari nelle Alpi.

Il comportamento migratorio creava un equilibrio fra base alimentare e numero di abitanti. Nella seconda metà del XVIII secolo la percentuale di coloro che lasciavano in forma durevole la terra di origine variava, nelle zone che sono state oggetto di studio, dal 39% di Einsiedeln al 64% di Appenzello Esterno e al 75% di Kerns. Gli spostamenti avvenivano specialmente da comune a comune o dalle fasce marginali verso zone dotate di un'industria domestica in via di affermazione, più di rado verso altri cantoni o Paesi stranieri. Gli emigranti del XVIII secolo preferivano mete europee (Russia compresa), mentre un numero ridotto affrontava il viaggio oltreoceano; forme particolari erano la migrazione professionale stagionale verso l'Italia settentrionale e altrove, praticata soprattutto nel Ticino e nei Grigioni (lavoro stagionale), e la Schwabengängerei dei ragazzi grigioni verso la Germania meridionale, che si protrasse fino al XIX secolo. Nelle regioni alpine il servizio mercenario ebbe un ruolo solo lievemente più importante che nell'Altopiano: se su scala svizzera, secondo stime prudenti, ogni anno veniva assoldato ca. l'1,4% della popolazione maschile reclutabile, la quota corrispondente per Uri era, per esempio, dell'1,5% nel XVIII secolo. Il 50% ca. dei mercenari faceva ritorno alla terra di origine; l'importanza demografica del servizio all'estero, che tornava utile segnatamente in periodi di carestie, non va quindi sovrastimata.

Strutture politiche

Nei primi secoli dell'età moderna lo spazio alpino presentava forme statali diverse, che non mancarono di influire sulla vita economica e sociale. Nelle Alpi centrali e orientali vi erano i cantoni rurali, basati sulla Landsgemeinde, senza sudditi al loro interno ma con vari Paesi soggetti, specialmente nel territorio dell'odierno canton Ticino; a est le Tre Leghe erano una Repubblica costituita da una cinquantina di comuni giurisdizionali, ognuno con un'organizzazione particolare. Il Vallese era formato da sette decanie e un Paese soggetto (la parte bassa della valle). L'Oberland bernese, suddiviso nei baliaggi di Oberhasli (un tempo beneficiario dell'immediatezza imperiale, godeva di particolari libertà interne), Interlaken, Frutigen, Niedersimmental, Obersimmental e Saanen (con il Pays-d'Enhaut), dipendeva da Berna; la Gruyère era retta da balivi friburghesi. Nell'intera area alpina aumentò il numero delle organizzazioni comunitarie locali, sia politiche sia ecclesiastiche, che guadagnarono inoltre in autonomia; nelle valli laterali sorsero nuove chiese, e chiese filiali si separarono dalle matrici. Vennero riscattati tributi feudali e moltiplicate le strutture amministrative locali; l'insieme di questi elementi è indice di una maggiore consapevolezza politica di una popolazione in crescita.

Struttura sociale e modi di vita

L'espansione di un'economia zootecnica e lattiera orientata al mercato, unita alla nascita di grandi aziende che richiedevano forti capitali, favorì lo sviluppo di un'élite di ricchi contadini e commercianti di animali o di formaggi, per esempio nel Glaronese, nella Gruyère e nel Saanenland; una parte degli esponenti della classe dirigente e dell'aristocrazia investì le proprie ricchezze nell'alpicoltura, che risultava redditizia. Le risorse collettive rimasero patrimonio delle antiche famiglie autoctone, mentre i nuovi arrivati ne erano esclusi o avevano diritti d'uso più limitati; certe restrizioni erano finalizzate anche al mantenimento di un equilibrio fra popolazione e risorse.

L'alimentazione alpina variava a seconda delle zone agrarie. Nelle regioni interne, laddove la campicoltura era sufficiente, dominavano il pane e i farinacei, nelle zone ad allevamento il latte e i latticini (formaggio, burro, ricotta), mentre altri alimenti erano la verdura (cavoli, fagioli, bietole), la frutta essiccata e, dal XVIII secolo, le patate. Il consumo di carne era più raro che nel Medioevo, e il pane non era un cibo quotidiano ma riservato specialmente agli infermi; ad arricchire l'alimentazione provvedevano caccia e raccolta (bacche, frutti di bosco). In tempi normali la base alimentare era sufficiente per una famiglia media (ca. sei membri, con cinque-sei mucche e ca. 300 m2 di terreno coltivabile a disposizione), ma si rivelava insufficiente in periodi di crisi (cattivi raccolti, epizoozie, rincari). L'alimentazione, basata soprattutto sul latte e sui suoi derivati, era caratterizzata da un eccesso di proteine e di grassi e dalla carenza di ferro e dell'importante vitamina B.

Veduta generale di Leukerbad nel 1786. Acquerello di Abraham Samuel Fischer (Biblioteca nazionale svizzera, Berna, Collezione Gugelmann).
Veduta generale di Leukerbad nel 1786. Acquerello di Abraham Samuel Fischer (Biblioteca nazionale svizzera, Berna, Collezione Gugelmann). […]

L'aggregato sociale dominante era il nucleo familiare con una media di 3,5-5 persone. Solo l'élite dei possidenti aveva personale domestico fisso; più frequenti erano i braccianti a giornata o gli artigiani chiamati a domicilio per svolgere determinati lavori. In molti luoghi la collaborazione di parenti e vicini era un elemento costante nell'organizzazione di diverse attività (per esempio la costruzione di case, nei monti urani il trasporto del fieno su terreni difficili, nella Bassa Engadina l'aratura o la lavorazione invernale del latte). Ovunque le strutture o risorse economiche di tipo cooperativo o collettivo (alpeggi, organizzazione di trasporto, comunati) costituivano integrazioni necessarie per l'azienda familiare. Una ripartizione sessuale del lavoro esisteva solo in forma parziale, nel senso che a causa dello spostamento stagionale tra fondovalle, maggengo o «monte» e alpeggio, i diversi membri della famiglia vivevano spesso separati nel corso dell'anno agrario (per ca. otto mesi, ad esempio, in valle Bregaglia); ognuno svolgeva quindi non solo specifici lavori agricoli (per esempio caseificazione, seconda fienagione), ma partecipava a tutti i lavori domestici. Nel complesso coesistevano molteplici strutture sociali, ricollegabili ai diversi presupposti naturali e storici delle varie regioni alpine.

Insediamento, struttura politica e sociale nel XIX e XX secolo

Insediamento e popolazione

Nel XIX e XX secolo la struttura insediativa dell'area alpina svizzera subì mutamenti talvolta profondi, favoriti specialmente dall'apertura ai traffici e al turismo e, localmente, dall'industrializzazione. La concentrazione del traffico ferroviario e poi stradale su determinati assi e valli principali (San Gottardo, valle del Reno nella zona di Coira, valle del Rodano ecc.) comportò un forte sviluppo, in alcuni casi tuttavia effimero, degli abitati situati in posizione favorevole. L'industrializzazione, con la connessa migrazione interna, favorì la nascita di piccoli agglomerati intorno ai centri urbani, quali Coira, Sion, Sierre, Briga-Glis. Il turismo fece nascere praticamente dal nulla nuove località (Verbier, Montana, Lenzerheide ecc.), e nel XX secolo l'aspetto degli abitati fu modificato in particolare dalla costruzione di residenze secondarie; nel contempo alcuni insediamenti di valli periferiche (ad esempio val Safien, valli laterali della Maggia) furono praticamente abbandonati.

I grandi lavori di correzione dei corsi d'acqua (Linth, Reuss, Reno, Rodano e Aar), le migliorie fondiarie, numerose e su vasta scala, le diverse opere di premunizione dalle piene e dalle valanghe hanno permesso di accrescere i terreni coltivati e di porre un argine ai pericoli naturali; l'insieme di questi imponenti e molteplici sforzi ha indubbiamente reso più vivibili le regioni alpine e ha stabilizzato (a volte esteso) l'area disponibile all'agricoltura e quella su cui costruire nuovi abitati e fattorie.

Opere di protezione contro le valanghe a Fusio. Fotografia di Dany Gignoux (Bibliothèque de Genève).
Opere di protezione contro le valanghe a Fusio. Fotografia di Dany Gignoux (Bibliothèque de Genève).

Nonostante la costante crescita della popolazione alpina, la percentuale di questa sull'insieme della popolazione svizzera è scesa di continuo, perché nello stesso periodo gli abitanti dell'Altopiano si sono quadruplicati. Nelle Alpi l'incremento demografico era dovuto fino al 1960 ca. a una natalità superiore alla media; da allora, si è registrato un rapido adeguamento alla media svizzera. Nei cantoni di montagna il saldo migratorio è stato invece costantemente negativo. Il servizio mercenario non rivestiva più grande importanza già prima di essere vietato (1859); meta di migrazione era piuttosto l'Altopiano svizzero, in continuo sviluppo industriale. L'emigrazione all'estero, con ondate molto forti in tre periodi (1816-1817, 1850-1855, 1880-1885), era diretta soprattutto oltreoceano, e portò alla nascita di colonie svizzere sia nell'America del nord sia in quella del sud (per esempio New Glarus negli Stati Uniti, San Jeronimo Norte in Argentina). I Paesi europei rimasero attrattivi per l'emigrazione professionale stagionale, praticata soprattutto da Grigionesi e Ticinesi. Molti casari dell'Oberland bernese si trasferirono in Russia, mentre i malgari friburghesi preferirono la Francia. L'emigrazione dalle Alpi, soprattutto di giovani lavoratori, è proseguita anche nei decenni dell'alta congiuntura seguiti al 1960, spesso per carenza di posti di lavoro qualificati.

Popolazione dell'area alpina svizzera 1800-1990a

Anno18001850190019501990
Popolazione375 641483 829587 492732 7461 003 898
Indice100128,8156,4195,1267,3
Percentuale rispetto alla popolazione svizzera22,6%20,2%17,7%15,5%14,6%

a Cantoni di montagna: UR, SZ, OW/NW, GL, AI/AR, GR, VS; distretti dell'Oberland bernese: Oberhasli, Interlaken, Frutigen, Niedersimmental, Obersimmental e Saanen, TI senza i distretti di Lugano e Mendrisio, distretti vodesi del Pays-d'Enhaut e di Aigle.

Popolazione dell'area alpina svizzera 1800-1990 -  Ufficio federale di statistica

Il saldo migratorio negativo si mantenne entro limiti relativamente accettabili grazie all'immigrazione di stranieri ma anche – data la diffusione delle infrastrutture moderne di trasporto, del turismo, delle aziende elettriche e delle imprese industriali – all'afflusso di manodopera specializzata da altri cant. La crescita demografica nelle Alpi variò a seconda delle regioni: nei centri cantonali e regionali (per esempio Sion, Briga, Coira) e nelle aree industriali e turistiche (Unterland glaronese, piana della Reuss, Mattertal e valle di Saas, distrettp di Interlaken, Schanfigg, Prettigovia ecc.) si ebbe un continuo incremento, mentre nelle valli e regioni legate all'economia montana tradizionale, all'artigianato domestico e alle attività di trasporto la popolazione ristagnava o perfino diminuiva (specialmente nella seconda metà del XIX secolo e dopo il 1950). Quest'ultimo fenomeno ha diverse spiegazioni: abbandono della vita dura propria dei contadini di montagna per ricercare migliori condizioni in zone economicamente floride, abbandono o estensivizzazione (per esempio nella valle di Blenio e in Verzasca) dell'agricoltura tradizionale, mutamenti strutturali nell'industria domestica e nei trasporti (per esempio nell'Appenzello, lungo il Reno posteriore e nella valle di Meien), abbandono forzato delle attività agricole per danni naturali ricorrenti prodotti da inondazioni, frane o valanghe, uniti a difficoltà nella vendita dei prodotti agricoli e al conseguente indebitamento (per esempio a Elm).

Strutture politiche

Durante l'Elvetica e la Mediazione furono apportate importanti modifiche anche negli ordinamenti politici delle regioni montane. Nel 1798 vennero aboliti tutti i vecchi rapporti di sudditanza; nel 1803 Ticino, Grigioni e Vaud entrarono a far parte della Confederazione quali nuovi cantoni, seguiti nel 1815 dal Vallese. Dopo l'Elvetica, in quasi tutti i cantoni dell'antica Confederazione, tornarono al potere le oligarchie dell'ancien régime, ma la perdita della loro base economica tradizionale (servizio mercenario e baliaggi) ne modificò la posizione e ne ridusse l'influenza. L'area alpina fu toccata solo in misura ridotta (nel Ticino nel 1830, a Glarona nel 1836) dalla Rigenerazione, e solo la Costituzione federale del 1848 creò presupposti istituzionali unitari per l'ulteriore sviluppo economico e sociale dell'area. Tuttavia, in diversi luoghi (per esempio nei cantoni Uri, Svitto e Ticino) coloro che avevano diritto all'uso dei beni comuni (boschi, alpeggi, comunati ecc.) trasferirono tale diritto a corporazioni; in questo modo venne negata la possibilità di intervento illimitato a cantoni e comuni, e fu impedito il suo usufrutto ai nuovi arrivati.

Dagli anni 1920 la politica federale si chinò in misura maggiore sui problemi economici e sociali dell'area alpina, compiendo indagini e avviando misure volte specialmente al miglioramento delle infrastrutture, allo sviluppo dell'economia e a promuovere la formazione. Nel 1926 la mozione del Consigliere nazionale Georg Baumberger ebbe come risultato finale un miglioramento della legislazione agraria. Nel 1943 vennero creati il Gruppo svizzero per le regioni di montagna e l'Aiuto svizzero ai montanari (ASM); nel 1971 uscì il rapporto del Consiglio federale sullo sviluppo economico delle regioni di montagna, da cui nel 1974 derivò la legge federale sull'aiuto agli investimenti nelle regioni montane. Più recentemente, i quattro cantoni di montagna ricchi in risorse idriche (Grigioni, Vallese, Uri e Ticino) hanno avviato una collaborazione nel settore idroelettrico per difendere collettivamente i loro interessi nei confronti della Confederazione e delle aziende elettriche.

Struttura sociale e modi di vita

Il ristagno, in certi casi il regresso, delle condizioni economiche e sociali di diverse valli alpine (principalmente nella Svizzera centrale e nel Ticino) causava forme di alimentazione cronicamente non bilanciate, con sintomi di carenze (avitaminosi, anemia) e un conseguente peggioramento della situazione sanitaria (legato anche, in qualche caso, a un consumo eccessivo di bevande alcoliche); i provvedimenti federali di politica economica e sociale contribuirono tuttavia a migliorare la situazione. La minore accessibilità delle valli montane e il crescente divario economico e di sviluppo fra regioni centrali e fasce alpine periferiche portarono a mutamenti anche nella struttura sociale: l'emigrazione, in particolar modo di molte giovani donne, fece salire la percentuale dei celibi fra i contadini di montagna. Le aziende agricole si ingrandirono (10 ettari in media nel 1990) e vennero gestite sempre più a titolo accessorio (40% nel canton Uri). Possibilità di redditi complementari vennero offerte dalla selvicoltura, dall'edilizia e localmente dal turismo o dall'industria; quest'ultima diede origine, specialmente nei cantoni Vallese e Uri, ai contadini-operai, spesso costretti a lunghi spostamenti giornalieri. La mentalità dei contadini di montagna è rimasta per lo più conservatrice; in alcuni luoghi sono stati segnatamente gli uomini a mantenere le tradizioni (valle dello Schächen), in altri soprattutto le donne (Lötschental); la popoloazione che lavora esclusivamente nei settori secondario e terziario, e che in massima parte risiede nei centri industriali e turistici, non presenta praticamente quasi più alcuna particolarità alpina.

Storia economica

L'agricoltura nel Medioevo

L'agricoltura della regione alpina svizzera, fino al basso Medioevo essenzialmente un'economia di sussistenza, conobbe in seguito una svolta – nelle Alpi della Svizzera occidentale e centrale intorno al 1300, in quelle della Svizzera orientale un po' più tardi – contraddistinta dall'instaurazione di rapporti di scambio con le regioni circostanti e specialmente con le città lombarde. Le valli nordalpine concentrarono la produzione sull'allevamento, fornendo alle città – in mercati zootecnici specializzati come quelli ad esempio di Arona, Bellinzona, Como e Varese a sud, Villeneuve (VD) a ovest e molti mercati minori di importanza regionale a nord – bestiame da riproduzione o da macello, cavalli e latticini in cambio di cereali (commercio di bestiame).

Questo orientamento al mercato fu chiaramente più limitato nelle valli interne, in quanto il clima asciutto, che favoriva la campicoltura anche a discrete altitudini, permetteva una forma di produzione mista; l'allevamento era comunque in parte necessario poiché fonte di concime per i campi e di animali da tiro per gli aratri (anche se nei tratti impervi dominava la lavorazione con la zappa). In alcune zone la crescita dell'erba era così difficile da richiedere un'irrigazione dei prati; particolarmente complessi erano i sistemi di adduzione dell'acqua (bisses, Suonen) nel medio Vallese.

Il sistema economico si rifletteva nell'organizzazione dei campi. Dove prevaleva l'allevamento, le parcelle erano piuttosto estese e le fattorie sparse disponevano di appezzamenti propri, ben accorpati; nelle zone a economia mista la frammentazione del territorio era maggiore e la commistione dei fondi costringeva a coordinare le colture. Se nel basso Medioevo la colonizzazione portò a un ampliamento della fascia coltivata, sul finire del Medioevo la tendenza all'allevamento spinse verso la trasformazione dei campi in prati falciabili. Questa diversa forma di utilizzo lasciò un'impronta particolare nella cosiddetta agricoltura convertibile (economia agricola mista, rotazione a pascolo temporaneo), che dominava nelle regioni nordalpine: dopo due-cinque anni di coltivazione ininterrotta, i campi erano lasciati inerbire. Dopo tre-dieci anni venivano dissodati e tornavano a disposizione: la rigenerazione era stata spontanea e non vi era stato praticato un autentico maggese. In altre zone più interne (Vallese, Grigioni meridionale, Ticino ecc.) era diffusa la campicoltura permanente, con risemina continua di anno in anno di cereali sullo stesso appezzamento (nel Ticino meridionale si avevano perfino due raccolti all'anno). Sembra che, laddove le due forme di coltivazione venivano praticate simultaneamente, la prima fosse utilizzata nei campi situati nelle zone periferiche e soggetti a un uso più flessibile (outfield), e la seconda in quelli vicini agli abitati (infield); visto che in questa «cintura interna» occorreva una maggiore regolamentazione, è probabile che la rotazione agraria fosse concordata nell'ambito della vicinanza. L'avvicendamento delle colture su base triennale era attestato solo ai margini dell'area alpina svizzera e nel Vallese; nella zona di Sion, ad esempio, dal XIII secolo veniva praticato un avvicendamento biennale (con maggese).

Se da un lato l'allevamento richiedeva l'impiego di un numero inferiore di persone rispetto all'agricoltura – fattore positivo nella crisi del tardo Medioevo – dall'altro esigeva un investimento maggiore di capitali e garantiva introiti più elevati; ciò fornì a cittadini e monasteri a nord delle Alpi nuove possibilità di investimento attraverso l'affidamento a terzi del bestiame (soccida). I grandi allevatori potevano alleggerire i propri carichi di lavoro cedendo in estate una parte del proprio bestiame a piccole aziende, che la conducevano al pascolo in alta montagna (estivazione); simili pratiche non erano tuttavia ben viste da corporazioni e comunità dell'alpe: spesso era vietato condurre all'alpe capi di provenienza esterna, e gli alpigiani potevano estivare soltanto gli animali che facevano svernare con il proprio fieno.

L'Annunciazione ai pastori. Affresco nella chiesa di S. Giorgio a Rhäzuns, 1400 ca. (Servizio monumenti dei Grigioni, Coira).
L'Annunciazione ai pastori. Affresco nella chiesa di S. Giorgio a Rhäzuns, 1400 ca. (Servizio monumenti dei Grigioni, Coira). […]

Nel tardo Medioevo il passaggio dal bestiame minuto a quello grosso, fino a quel momento allevato in numero esiguo, fu favorito dai conventi e risultò decisivo per lo sviluppo dell'allevamento; il canton Svitto, sfruttando le tradizioni dell'economia monastica di Einsiedeln, fece tra gli altri da esempio. Anche in questo caso la svolta fu complementare allo sviluppo dell'economia urbana: a Friburgo, ad esempio, nel XIV secolo l'allevamento ovino, oltre a essere praticato in maniera più intensiva, fu trasferito dalle Alpi alle zone limitrofe della città, dove approvvigionava il fiorente artigianato tessile. La decadenza di questo settore nel XV secolo comportò la perdita di importanza degli ovini, sostituiti da un allevamento bovino orientato alla produzione lattiero-casearia. La situazione era diversa in zone come la parte meridionale del canton Grigioni, dove il bestiame minuto prevalse fin verso la fine del Medioevo.

L'aumento dei bovini comportò una maggiore produzione di foraggio essiccato, in genere distribuito a più stalle isolate (Gadenstätten) della stessa azienda, e quindi un'estensione dell'alpicoltura. Nel tardo Medioevo il decentramento aziendale, ossia la ripartizione dei poderi fra più livelli altitudinali, era un fenomeno molto diffuso nell'area alpina svizzera (in particolare nel medio Vallese, dove alcune aziende coltivavano vigneti sui pendii inferiori della valle del Rodano e praticavano l'alpicoltura fin verso i 2500 m); con il crescere dell'altitudine aumentava l'uso estensivo del terreno a fini pascolativi. La fascia altitudinale superiore venne aperta all'alpicoltura soprattutto a partire dal basso Medioevo; nella fascia intermedia si formarono in seguito, a mo' di autentiche isole di dissodamento, i maggenghi: aziende accessorie con casera (alpigiani), prati privati e diritti su beni comuni.

Gli spostamenti stagionali dei contadini di montagna
Gli spostamenti stagionali dei contadini di montagna […]

Nell'alpicoltura esistevano diverse forme di proprietà e di esercizio. Il caso tipico vedeva, in un processo di addensamento della popolazione nei villaggi, il singolo alpeggio a gestione familiare integrarsi in associazioni più grandi: molti pascoli alpini vennero prestati da proprietari fondiari a consorzi di più fattorie o a vicinanze, in seguito divenuti autonome corporazioni comunali. In particolare in territorio grigione e glaronese vi erano anche alpeggi di proprietà comunale, anch'essi spesso gestiti attraverso una cooperativa; in generale le malghe cooperative prevalevano nelle valli interne, quelle individuali nella fascia settentrionale. L'esercizio dell'alpe venne regolamentato in misura sempre maggiore (diritti di alpe); gli Acta Murensia (metà del XII secolo) contengono l'esemplare più antico di statuto alpigiano scritto, con cui l'abbazia di Muri fissò prescrizioni d'uso, richieste di tributi e istruzioni per produrre latticini per i propri alpeggi, sparsi nella Svizzera centrale.

Poiché i pascoli alpini erano situati ai margini dei villaggi, ogni intensificazione del loro uso creava concorrenza. Spesso le liti sui diritti di alpe avevano risvolti di politica territoriale, come dimostrano, ad esempio, l'espansione urana e svittese nei confronti dei monasteri di Engelberg e Einsiedeln (conflitti di marca) e di Glarona. I dissidi in materia di alpeggi erano sempre caratterizzati da conflitti sullo sfruttamento di beni e riguardavano specialmente i confini dei pascoli, i diritti temporanei di pascolo su terreno estraneo e i diritti di passaggio. Uno sfruttamento eccessivo poteva però anche essere causato dalle singole corporazioni; di qui le restrizioni ai diritti d'uso, l'assegnazione del cosiddetto piede d'erba e degli Stösse (unità di misura con cui si misurava la quantità di fieno prodotta da un alpe) e la regolamentazione dello svernamento, cioè del numero di mucche che un alpigiano poteva nutrire in inverno con il fieno dei propri terreni.

L'aumento della pratica dell'estivazione nei pascoli in altura costrinse a destinare anche i beni comuni del fondovalle alla produzione di foraggio invernale; una parte di essi fu adibita a prati e assegnata per sorteggio, affittata o venduta dalla vicinanza a singoli contadini. Su questi poderi, privatizzati e recintati (recinzioni), continuarono tuttavia a gravare diritti d'uso collettivi, fra cui soprattutto quello generale di pascolo in primavera e in autunno.

A campi e prati si affiancavano colture speciali. La principale – la vite – era diffusa nelle fasce basse delle valli sudalpine, nel medio e basso Vallese e, in misura un po' minore, nella piana di Coira e sul lago dei Quattro Cantoni; verdura, frutta e piante tessili erano coltivate negli orti, ma singoli alberi da frutto potevano essere piantati come proprietà speciali nei terreni comuni.

Inizialmente, artigianato e commercio rurali (lavorazione di prodotti alimentari, mulini, forni, torchi, macelli e locande), spesso ancora inseriti nell'organizzazione signorile, sottostavano al banno del signore fondiario. Nel tardo Medioevo nell'area alpina vi erano un po' ovunque mulini per cereali, talvolta dotati di segherie, frantumatrici di canapa, pestelli per orzo e ossa e folloni; anche le fucine erano diffuse. Altre attività accessorie si svilupparono attorno alla raccolta delle materie prime, dell'energia o del trasporto delle merci. L'estrazione della resina e la produzione del carbone di legna erano poco praticate; nel tardo Medioevo si andarono sempre più professionalizzando le attività di minatori e somieri.

L'agricoltura nella prima epoca moderna

Nei primi secoli dell'epoca moderna l'economia alpina conservò la matrice agricola, dal XVII secolo integrata in misura crescente dal lavoro a domicilio. Prima del 1800 si formarono tre zone agrarie ben distinte: una zona interna, una cosiddetta fascia pastorizia e, nella cintura di transizione verso le Prealpi, una zona a economia mista. La variegata produzione agricola della zona interna era ancora destinata in primo luogo all'autoapprovvigionamento, mentre la fascia pastorizia a nord delle Alpi si specializzò ulteriormente in un'economia zootecnico-lattiera, orientata al mercato; a quest'ultima continuò ad affiancarsi la campicoltura nella fascia collinare ad economia mista antistante alle Alpi.

La struttura delle proprietà ebbe un ruolo spesso decisivo nell'evoluzione dell'alpicoltura. Dove dominava la proprietà privata – per esempio nei territori dipendenti da Glarona, Appenzello, Svitto, Berna e Friburgo – furono possibili investimenti di capitale o affitti su vasta scala ad opera di un ceto agiato (grandi contadini, alpeggiatura o anche imprenditori della protoindustria), con conseguenti innovazioni; dove invece prevaleva la proprietà delle corporazioni o comunale (specialmente in territorio grigionese, vallesano o urano), alpicoltura e agricoltura restarono legate alle tradizioni e piuttosto contrarie alle innovazioni.

Il commercio con l'Italia attraverso i passi alpini, iniziato nel Medioevo e già ben radicato nel XVI secolo, raggiunse una certa importanza durante la guerra dei Trent'anni; nonostante alcune crisi (epizoozie, tensioni politiche), si mantenne costante e coinvolse non solo la fascia alpina vera e propria, ma anche le zone di Lucerna, Zugo, Zurigo e San Gallo, le terre bernesi, il Freiamt e le regioni prealpine di Friburgo e di Vaud. Si stima che, nel XVIII secolo, ogni anno fossero venduti nei soli mercati ticinesi dai 6000 ai 10'000 capi grossi.

Dal XVII secolo acquistarono importanza l'economia lattiera e i nuovi tipi di formaggio a pasta dura (Gruyère, Sbrinz), ben conservabili e adatti a essere trasportati anche sulle lunghe distanze. Dominanti nella nuova produzione divennero la Gruyère, il Pays-d'Enhaut e il Saanenland, dove durante il XVII e XVIII secolo le superfici di terreno destinate a coltivazione e prati diminuirono di molto a favore dei pascoli; la nuova attività casearia si sviluppò inoltre a Untervaldo, mentre anche il formaggio grasso della val d'Orsera divenne conosciuto. I prodotti erano venduti nei mercati dell'Altopiano, dell'Italia del nord e di Marsiglia – raggiungibile attraverso il lago di Ginevra e il Rodano – dove erano apprezzati dagli equipaggi delle navi. Dal 1720 al 1730 transitò sul solo San Gottardo una media annua di 742 t di formaggi (salita a 1085 nel periodo 1790-1797). Nella seconda metà del XVIII secolo si delineò in maniera sempre più marcata la concorrenza dell'Altopiano, che rivalutò i propri allevamenti e la propria economia lattiera, fino ad allora trascurati.

Un significato particolare ebbe nelle Alpi l'introduzione della patata. La coltivazione del tubero, che cresceva bene nel clima umido e piuttosto fresco del versante nordalpino, cominciò ad affermarsi agli inizi del XVIII secolo dapprima nelle valli dedite all'allevamento, dove la novità trovò meno ostacoli che nell'Altopiano, poiché in queste regioni non veniva praticata la rotazione controllata e le decime in natura erano già state abolite da tempo. Gradito surrogato dei cereali mancanti, la patata era coltivata un po' dappertutto nella fascia pastorizia già verso il 1800, mentre nelle zone interne venne adottata soltanto più tardi.

La lavorazione domestica delle fibre tessili (lana, seta, cotone) si diffuse dapprima a San Gallo e a Zurigo per poi svilupparsi, nel corso del XVII e soprattutto XVIII secolo, anche nell'area alpina e prealpina della Svizzera orientale e centrale. Il culmine venne raggiunto in Appenzello Esterno e nel canton Glarona, dove le attività agricole persero il primato e si adattarono alle esigenze dei lavoratori a domicilio, sempre più numerosi: la campicoltura, che richiedeva molta manodopera, in gran parte scomparve. I prodotti alpigiani servivano soprattutto al consumo locale; le aziende agricole divennero attività economiche accessorie con patrimonio zootecnico ridotto (a Glarona anche con una considerevole frutticoltura).

L'agricoltura nel XIX e XX secolo

Nel XIX e XX secolo la struttura occupazionale dei cantoni di montagna, seguendo l'evoluzione in atto sul piano nazionale, mutò continuamente; il settore primario, che agli inizi impiegava il maggior numero di persone, perse la sua posizione di forza a favore del secondario e, dal 1960 ca., del terziario.

Nelle Alpi la svolta strutturale modificò radicalmente l'economia montana. Nel 1870 ca. negli otto cantoni di montagna la percentuale di contadini rispetto alla popolazione complessiva variava dal 74% (Vallese) al 19% (Glarona); nel 1980 dal 21,6% (Appenzello Interno) all'1,6% (Ticino). Anche in termini assoluti il ceto contadino subì un evidente regresso: dal 1870 al 1910 solo Appenzello Interno (+14,7%) e Vallese (+4,5%) conobbero un aumento, mentre in tutti gli altri cantoni di montagna si ebbe un calo più o meno considerevole (Nidvaldo: -1,1%; Ticino: -17,9%), ancora più drammatico nel XX secolo. Attorno al 1980 la quota di popolazione impegnata nell'agricoltura variava dall'8% (Ticino) al 55% (Appenzello Interno): i contadini dei cantoni di montagna nel 1910 erano 160'000 ca., mentre nel 1980 ca. il loro numero era sceso a 43'000 ca., il che equivale a una diminuzione media del 74% e ad una quota del 15% ca. rispetto alla popolazione contadina svizzera.

I lavori nei campi nella val Monastero verso il 1920 (Biblioteca nazionale svizzera, Berna, Archivio federale dei monumenti storici, Collezione Wehrli).
I lavori nei campi nella val Monastero verso il 1920 (Biblioteca nazionale svizzera, Berna, Archivio federale dei monumenti storici, Collezione Wehrli). […]

Le caratteristiche che intorno al 1800 erano peculiari degli spazi economici alpini si persero gradatamente. Se nelle valli interne di Vallese, Ticino e Grigioni ancora intorno al 1905 almeno il 50-70% delle fattorie coltivava cereali, nel 1980 i campi destinati a questo tipo di coltivazione erano diminuiti di oltre il 46% (da 15'805 a 8488 ettari); la loro percentuale rispetto all'intera superficie agricola (in media 7,9%) restava comunque cospicua. In questo senso ancora oggi l'agricoltura delle zone interne si distingue sensibilmente da quella delle regioni nordalpine, dove le coltivazioni in campi aperti rappresentano dappertutto meno dell'1% dell'intera superficie agraria; tuttavia, non si può più parlare di una zona interna con caratteristiche proprie, in quanto l'autarchia economica che la distingueva è scomparsa. L'industrializzazione ha cancellato anche i confini tra fascia pastorizia e zone dedite al lavoro a domicilio.

Nelle Alpi svizzere la superficie complessiva utilizzata a fini agricoli (pascoli estivi compresi) è rimasta più o meno invariata dal 1800, anche perché ciò che si è perso a favore dei nuovi abitati è stato in parte compensato dai guadagni legati alle bonifiche; solo nel Ticino vi è stato un drastico regresso nel XX secolo (più del 35% dal 1905 al 1980). Se nel periodo 1866-1978 il patrimonio zootecnico dei cantoni di montagna registrò un aumento (da 339'482 a 368'562 esemplari di bestiame grosso), la percentuale rispetto a quello dell'intera Svizzera scese dal 28 al 14%. Tale evoluzione presentò, peraltro, forti differenze regionali: crescita nella maggior parte dei cantoni di montagna (specialmente Nidvaldo, Appenzello Interno e Obvaldo), ma regresso nei cantoni Grigioni, Vallese e Ticino.

Grazie alla strada del passo del San Gottardo, le esportazioni di bestiame e latticini alpini verso la Lombardia aumentarono fin verso il 1850. Dopo il 1882 la costruzione delle ferrovie consentì al mercato di svilupparsi; grazie alla liberalizzazione del sistema agrario, alla suddivisione dei comunati e a coltivazioni più intensive, il patrimonio zootecnico nelle regioni svizzere non alpine crebbe molto più velocemente che nella zona alpina. Con un aumento del 112% dal 1866, nel 1978 esso contava 1'791'179 unità, pari all'86% di tutti gli esemplari di bestiame grosso della Svizzera; è quindi evidente che in tempi recenti la ripartizione tradizionale del lavoro tra fascia cerealicola dell'Altopiano e fascia pastorizia alpina ha perso buona parte della sua validità.

La concorrenza tra caseifici di montagna e di pianura, delineatasi già verso la fine del XVIII secolo, si inasprì rapidamente nella prima metà del XIX secolo; a partire dalla Svizzera francese, inoltre, si formò nell'Altopiano una fitta rete di caseifici cooperativi, che dopo il 1850 cominciarono a svilupparsi anche nell'area alpina e nel XX secolo si organizzarono in rigide forme associative. Sull'esempio dell'economia lattiera nacquero molti sodalizi importanti per l'agricoltura montana: nel 1863 venne fondata la Società svizzera di economia alpestre, che si sforzò di promuovere l'alpicoltura, e nel 1844 venne costituita la Lega grigionese dei contadini, sul cui modello gli altri cantoni di montagna istituirono prima del 1908 i propri istituti cantonali. Tutte le associazion cantonali aderirono alla Società svizzera di agricoltura, fondata nel 1863; nel XX secolo sono sorte molte altre organizzazioni che si proponevano di promuovere le zone montane. Nel 1896 aprì i battenti la prima scuola agraria specializzata di un cantone di montagna (Grigioni), cui seguirono quelle dei cantoni Ticino (1915), Glarona (1918), Vallese (1920), Svitto (1925), Uri (1938) e Obvaldo (1957); dal 1924 sorsero anche cinque scuole contadine femminili.

La Confederazione, adottando il decreto federale sul promovimento dell'agricoltura nel 1884, sancì il proprio impegno anche a favore dell'agricoltura di montagna (politica agricola). Nella sua revisione del 1929, la legge sull'agricoltura prevedeva un aiuto particolare a favore delle regioni di montagna e delle piccole aziende contadine al fine di porre un freno allo spopolamento delle valli. Venne così adottata una serie di misure di sostegno, in seguito costantemente ampliata e migliorata: promozione delle vendite di bestiame, crediti di sdebitamento e di investimento, assegni familiari e per i figli, sussidi per la meccanizzazione (più accentuata dagli anni 1950), contributi ai detentori di bovini, sussidi d'alpeggio per mucche, contributi di superficie, miglioramento delle condizioni abitative ecc. Tali misure, unite al potenziamento della rete di accesso (strade e funivie), tecnicizzarono il lavoro dei contadini di montagna, ingrandirono le loro strutture aziendali e influirono, in generale, sulla loro vita e mentalità.

Benché la Confederazione elabori la politica agricola in collaborazione con i cantoni, il suo peso finanziario le consente di ampliare le proprie zone di influenza. Malgrado le diverse misure di sostegno, le rendite dei contadini di montagna non raggiunsero nel periodo 1960-1980 che il 50-70% del montante di riferimento («salario paritetico»), contro l'80-110% di quelle delle aziende di pianura. Alla fine del XX secolo la tendenza della politica agricola svizzera era di procurare ai contadini di montagna un reddito-base attraverso pagamenti diretti legati non alla produzione bensì a prescrizioni ecologiche, compensandoli quindi per servizi di interesse collettivo quali la conservazione del paesaggio coltivato. L'incoraggiamento all'agricoltura e alla selvicoltura alpestre si è sviluppato sempre più a livello internazionale, per esempio nell'ambito dell'Arge Alp, una comunità di lavoro dei Paesi alpini (comprende Länder tedeschi e austriaci, regioni o province autonome italiane e i cantoni Grigioni, San Gallo e Ticino) fondata nel 1972, che si occupa di temi di interesse transfrontaliero concernenti le Alpi centrali e orientali. La Comunità di lavoro delle Alpi occidentali (COTRAO), organismo internazionale analogo fondato nel 1982, riunisce regioni francesi, italiane e i cantoni Ginevra, Vaud e Vallese. La Convenzione delle Alpi, firmata nel 1991, vincola i Paesi membri (Austria, Svizzera, Italia, Francia, Germania, Slovenia, Liechtenstein, principato di Monaco) a praticare un'economia di montagna che si adatti al luogo e sia compatibile con l'ambiente, e a compensare i contadini per le loro prestazioni di interesse collettivo.

Selvicoltura

Il dibattito sull'importanza dei boschi in montagna si è spesso incentrato sul ruolo protettivo che questi ultimi svolgono nel caso di pericoli naturali quali piene, valanghe e cadute di sassi; questo fattore diede il via, già nel Medioevo, ad attività politiche e alla creazione di norme giuridiche per la tutela e l'utilizzazione delle foreste. Fra i documenti più antichi delle zone montane vi sono le ordinanze di vincolo (le cosiddette Bannbriefe) sul singolo bosco sacro, cui a partire dal XIV secolo si faceva sempre più ricorso per proteggere abitati, vie di comunicazione e appezzamenti ad uso agricolo dalle minacce naturali; esse regolamentavano inoltre i diversi utilizzi dei boschi e, limitandone in particolare i diritti d'uso, assicuravano l'approvvigionamento di legname a singoli aventi diritto o alla collettività. In alcune valli alpine, per esempio a Davos, questa simbiosi conflittuale fra interessi di utilizzo e protezione, e la loro cristallizzazione giuridica portarono anche alla creazione di boschi privati. Dalla fama misteriosa dei boschi sacri nacque il mito di una relazione previdente tra uomo e ambiente, fatta di saggezza e rispetto; tuttavia ciò non corrisponde alla realtà del Medioevo e della prima epoca moderna, come dimostrano i resoconti dei pionieri della selvicoltura del 1800 ca.

I boschi di molte valli montane erano importanti fonti di energia e materia prima per le attività artigiane e le industrie in formazione situate ad una certa distanza; essenziale era la presenza di fiumi di una certa dimensione che consentissero il trasporto di tronchi (industria del legno). Nella Bassa Engadina, ad esempio, sui terreni che oggi appartengono al Parco nazionale svizzero, il legname veniva utilizzato nel basso Medioevo soprattutto dalle miniere (Buffalora, Il Fuorn, S-charl); dalla metà del XVII secolo, invece, grazie all'Inn esso venne vieppiù esportato verso la salina di Hall in Tirolo. La fluitazione fu praticata non solo sull'Inn ma su quasi tutti i fiumi e torrenti svizzeri, talvolta fino alla fine del XIX secolo. L'importanza economica dei boschi montani per l'approvvigionamento interno e per l'esportazione di legname è strettamente correlata all'evoluzione tecnica, vale a dire sia all'accessibilità dei boschi stessi (sistemi di trasporto) sia alla domanda (industrializzazione, sostituzione con altre materie prime e fonti energetiche come carbone, petrolio, elettricità).

Scivolo di legno, chiamato in Ticino «sovenda», utilizzato nel XVIII secolo in Leventina per trasportare il legno. Acquaforte di Johann Rudolf Schellenberg, tratta dall'opera Beyträge zur nähern Kenntniss des Schweizerlandes di Hans Rudolf Schinz del 1784 (Zentralbibliothek Zürich).
Scivolo di legno, chiamato in Ticino «sovenda», utilizzato nel XVIII secolo in Leventina per trasportare il legno. Acquaforte di Johann Rudolf Schellenberg, tratta dall'opera Beyträge zur nähern Kenntniss des Schweizerlandes di Hans Rudolf Schinz del 1784 (Zentralbibliothek Zürich).

L'approvvigionamento di legname (variamente utilizzato) e di altri prodotti forestali (resina, strame, bacche, funghi ecc.) per la popolazione locale dipendeva da fattori che variavano da regione a regione. Al margine superiore del bosco (per esempio nell'Avers) gli abitanti dovevano adeguarsi alla scarsa disponibilità di legna, di conseguenza considerata preziosa; in val d'Orsera prati e pascoli erano considerati così importanti che i contadini, pur di mantenerli, accettavano di procurarsi il legname più a valle e di trasportarlo con difficoltà lungo la gola della Schöllenen. Condizioni simili sono documentate anche a Grindelwald; nelle zone di forte esportazione di legname, gli interessi finanziari spingevano le autorità a promuovere lo sfruttamento delle foreste, in concorrenza con l'approvvigionamento locale o con le altre funzioni dei boschi montani.

Lo sfruttamento incontrollato delle foreste alpine e il crescente fabbisogno di superfici agricole portarono nel XIX secolo a diboscamenti, sempre più spesso ritenuti la causa di molte inondazioni. Le nuove acquisizioni scientifiche, cui si giunse grazie a numerose relazioni e perizie fatte da Charles Lardy, Xavier Marchand e Elias Landolt, fecero finalmente maturare la disponibilità a un'ampia tutela del patrimonio boschivo montano; si giunse così alla legge federale del 1876 sulla polizia delle foreste (leggi forestali), la cui validità rimase però limitata alle sole zone di «alta montagna» fino al 1898. Oltre a limitare il pascolo del bestiame grosso e minuto nelle aree boschive, la legge sanciva l'obbligatorietà del rimboschimento delle zone idrologicamente sensibili (come il flysch delle zone prealpine); la politica di salvaguardia così avviata, unita al crescente calo dell'importanza economica del legno come materia prima, fece sì che la superficie forestale montana aumentasse talvolta sensibilmente (soprattutto sul versante sudalpino). Secondo il primo inventario forestale nazionale (IFN, rilevamenti 1982-1986), alla fine del XX secolo il 32% dei boschi svizzeri era situato nella regione alpina; le foreste alpine erano composte per il 57% da boschi di alto fusto, per il 13% da fustaie disetanee e per il resto da popolamenti non compatti o formazioni arbustive. La specie più diffusa della regione alpina, sempre secondo l'IFN, era il peccio (oltre il 50%), seguito da larice, pino silvestre, abete bianco e cembro; fra le latifoglie dominavano faggio, acero e frassino. Di pubblico dominio dal 1980 ca., la gravità della situazione boschiva e il suo continuo peggioramento, riscontrabile anche e soprattutto nelle Alpi (specialmente nelle valli interne), hanno indotto la Confederazione nel 1983 a lanciare il programma Sanasilva (relazione annuale sui danni e sugli interventi destinati a conservare i boschi sani).

Miniere, industria ed energia

Attività minerarie

Veduta della salina di Bévieux nella circoscrizione di Bex. Incisione tratta dai Tableaux topographiques, pittoresques, [...] de la Suisse, 1780-1788, di Beat Fidel Zurlauben (Collezione privata).
Veduta della salina di Bévieux nella circoscrizione di Bex. Incisione tratta dai Tableaux topographiques, pittoresques, [...] de la Suisse, 1780-1788, di Beat Fidel Zurlauben (Collezione privata). […]

Le Alpi celano numerose riserve minerarie come metalli preziosi, ferro, carbone, sale, minerali e cristalli (cristalli di rocca), sfruttate secondo lo stato delle conoscenze, il livello tecnico, le possibilità di utilizzo e l'economicità. Oltre alla caccia, nell'area alpina le attività non agrarie più antiche sono quelle legate alle miniere. In Svizzera, tuttavia, i giacimenti non sono molto ricchi e sono in genere poco redditizi; lo sfruttamento, che ebbe periodi di relativo splendore nel tardo XV, nel primo XVII e in parte (ma in misura minore) nel XVIII secolo, cessò praticamente nel XIX e XX secolo.

Siti importanti di sfruttamento minerario

RegioneLuogoMaterialePrima menzione o la durata dello sfruttamento
Canton San GalloGonzenferroalmeno dalla fine del I secolo a.C., fino al 1966
Canton Grigionival S-charl e alta val Monasteroferro, argentoinizi del XIV secolo
 val Medel e Trunferrometà del XIV secolo
 Davosargento, piombo, zincofine del XV secolo
 valle dell'Albulaferro, altri metalliXVI secolo
 Schamsferro, argentoXVII secolo
Svizzera centraleMelchtalferroXV-XVII secolo
 Maderanertalferro, argentoXV-XVIII secolo
 Entlebuchoro alluvionale, ferroXV-XVIII secolo
canton Vallesevalle di Bagnesargentoalmeno dal XV secolo
 Grund presso Brigaferroseconda metà del XVII secolo
 LötschentalpiomboXVII secolo
 GondooroXVIII secolo
Oberland berneseOberhasli ferroXVI-XVIII secolo
 alta valle di LauterbrunnenferroXVII secolo
 regione di Frutigencarbon fossileseconda guerra mondiale
canton VaudAigle e Bexsalgemmaseconda metà del XVI secolo
canton Ticinovalle Morobbiaferrofine del XVIII secolo
Siti importanti di sfruttamento minerario – Ulrich Pfister, Thomas Busset

Nel XVI secolo l'introduzione degli altiforni a insufflazione, adottati quasi esclusivamente nei centri principali, comportò un aumento dei costi di estrazione e riduzione dei minerali ferrosi; facoltosi imprenditori locali, appartenenti alle famiglie dei notabili, si associarono spesso con grandi commercianti forestieri. In genere la maggior parte della manodopera era costituita da minatori e specialisti emigrati dalle grandi zone minerarie delle Alpi centrali e orientali (regione di Brescia e di Como, Tirolo, Stiria), ognuno con proprie usanze particolari; per la popolazione locale, le miniere, che consumavano una grande quantità di legna, erano soprattutto occasione di lavori quali le corvée di traino; indirettamente essa beneficiava anche dei proventi (regalie) versati ai comuni per lo sfruttamento delle miniere. Il taglio raso dei boschi provocò comunque anche conflitti, come nel caso dell'Oberhasli (XVI-XVII secolo) o della signoria di Aigle (XVIII secolo). Sempre richieste e impiegate in vario modo erano diverse rocce come marmi, graniti, gneiss, calcari, scisti e pietre ollari (industria della pietra).

Attività ambulanti e protoindustriali

Nel tardo Medioevo e nei secoli successivi, parallelamente a una pratica sempre più estensiva dell'agricoltura, si svilupparono nella maggior parte delle Alpi svizzere attività itineranti (lavoratori itineranti), praticate per una stagione o a tempo indeterminato; oltre ai mestieri artigiani, esse interessavano l'agricoltura (personale di servizio, che si trasferiva soprattutto dalle Prealpi verso le vicine pianure) e il settore dei servizi (mercenari – soprattutto della Svizzera centrale e del Vallese – e venditori girovaghi). Sembra che queste attività fossero praticate prevalentemente dove vi erano poche alternative. Fra tutte le attività bisogna menzionare innanzitutto l'edilizia, presente in alcune zone italofone (Mendrisiotto, Centovalli, Mesolcina) e comprendente tutte le professioni del settore, dagli architetti (imprenditori edili) agli stuccatori e ai semplici muratori; in secondo luogo i mestieri legati alla produzione di nuovi prodotti voluttuari (cioccolatai, soprattutto bleniesi, pasticceri, caffettieri e confettieri, specialmente grigionesi riformati, provenienti in particolare dall'Engadina e da Davos); infine le attività che si situavano fra artigianato e commercio o servizi, quali lo spazzacamino (valli Verzasca e Calanca), produttore di tavoli (Glarona) o di ovatta. Le mete dei lavoratori ambulanti erano distanti e comprendevano città dell'Italia settentrionale, dell'Austria e di tutto l'Impero; in genere queste professioni erano nuove, estranee al sistema corporativo e soggette a forti variazioni della domanda. Spesso la specializzazione riguardava una valle o un villaggio, in quanto la manodopera era reclutata fra parenti o vicini; i contatti fra gli uomini lontani da casa e le donne o i parenti che provvedevano all'azienda agricola erano assicurati da intensi scambi epistolari, resi possibili da un'alfabetizzazione relativamente diffusa e precoce.

Il sistema combinato di mestieri itineranti (stagionali o a tempo indefinito) e agricoltura alpina di sussistenza fu infranto solo verso la metà del XIX secolo, in particolar modo in seguito all'emigrazione verso i Paesi d'oltremare. Le attività itineranti, che permettevano una buona comprensione dello sviluppo del mercato, furono a volte il punto di partenza per le prime forme di protoindustrializzazione (stanziale); il canton Glarona, dove nel primo XVIII secolo l'infrastruttura commerciale creata dai mestieri ambulanti consentì il passaggio alla filatura del cotone, offre uno degli esempi più significativi di questo processo. In questo senso risultano significativi anche gli esempi offerti da Appenzello Esterno, peraltro vicino a San Gallo (lino, cotone, ricami), della valle di Engelberg, dove l'abbazia assunse funzioni imprenditoriali (cascami serici), e di Gersau, centro importante per la Svizzera centrale. Nelle rimanenti regioni alpine, la lontananza delle città e la conseguente mancanza di esperienza imprenditoriale impedirono di ospitare altre attività protoindustriali.

Industria, aziende elettriche

All'inizio del XIX secolo l'economia dei cantoni di montagna registrò un'autentica crisi. La presenza di risorse naturali quali acqua, legname, calcare, argilla ecc. garantiva ancora il funzionamento di piccole unità produttive per il mercato locale o regionale; i corsi d'acqua consentivano il funzionamento di segherie, cartiere ecc., mentre il legname veniva utilizzato come combustibile dalle vetrerie di Hergiswil (1818), Monthey (1822) e Domat/Ems (1839), e come materia prima da mobilieri, fiammiferai, fabbricanti di parquet e intagliatori. Se alcune attività stentarono a sopravvivere o scomparvero, altre vennero meccanizzate, come la filatura del cotone a Glarona (1813), la produzione di cascami serici a Brunnen (1822) o la fabbricazione della carta a Rotzloch (1831); nel complesso, però, la meccanizzazione rimase modesta.

Dalla metà del XIX secolo il capitale cittadino, agli inizi spesso straniero, conquistò la regione alpina. Le Alpi svizzere vennero vieppiù integrate nelle aree di influenza dei centri decisionali dell'Altopiano; la penetrazione fu legata all'avvento delle ferrovie, molto spesso fatali per arti e mestieri locali ormai confrontati a una concorrenza sovrarregionale. Alcune imprese si adattarono allo sviluppo della rete ferroviaria (per esempio la vetreria di Hergiswil, che nel 1870 passò a utilizzare il carbone), mentre altre furono create ex novo (il cotonificio di Churwalden e la fabbrica meccanica di Landquart nel 1858) o ebbero un periodo di fioritura (le cave di gneiss nel canton Uri e nella Leventina).

Verso la fine del XIX e all'inizio del XX secolo l'elettrificazione, basata sullo sfruttamento delle forze idriche, favorì in alcune valli alpine come il Vallese la nascita di industrie chimiche (a Visp e a Gampel nel 1897, a Monthey nel 1904) e metallurgiche (a Chippis nel 1905); nel Ticino la concessione d'uso della forza idrica nella gola della Biaschina e l'obbligo di utilizzare l'energia direttamente sul posto resero possibile la trasformazione di Bodio in centro industriale (azienda elettrica, stabilimento chimico, acciaieria ecc.). Già nel periodo precedente la prima guerra mondiale fu superato il problema del trasporto di elettricità a grande distanza, rendendo superflua la vicinanza a una centrale elettrica per i nuovi insediamenti industriali (industrializzazione); a livello politico, però, cominciò una lotta per l'interconnessione fra le singole reti, che si risolse con la concentrazione della distribuzione nelle mani di alcune aziende elettriche con sede nell'Altopiano. I comuni montani interessati poterono beneficiare dei canoni sull'acqua.

La diga di Emosson in Vallese in fase di costruzione, fotografata l'11.12.1972 (Michel Darbellay, Médiathèque Valais, Martigny).
La diga di Emosson in Vallese in fase di costruzione, fotografata l'11.12.1972 (Michel Darbellay, Médiathèque Valais, Martigny).

La diffusione dell'uso dell'elettricità sull'intero territorio svizzero e il conseguente aumento della domanda portarono alla costruzione di nuove centrali e dighe; le principali, tutte posteriori alla seconda guerra mondiale, sono Mauvoisin (1957, sopraelevata nel 1990), Grande-Dixence (1961), Mattmark (1967) ed Emosson (1974) nel canton Vallese, Zervreila (1957), val di Lei (1961) e Punt dal Gall (1969) nel canton Grigioni, Luzzone (1963, sopraelevata tra il 1995 e il 1999) e Contra (1965) nel canton Ticino. Alcuni progetti – negli anni 1950, per esempio, a Göscheneralp e a Marmorera – furono avviati senza chiedere il preavviso alla popolazione locale.

Trasporti

Traffico interno

Commercianti con la loro carovana ai piedi delle Alpi nel XVII secolo. Disegno preparatorio per una vetrata di Gottfried Stadler (Bernisches Historisches Museum, deposito della Confederazione; fotografia Stefan Rebsamen).
Commercianti con la loro carovana ai piedi delle Alpi nel XVII secolo. Disegno preparatorio per una vetrata di Gottfried Stadler (Bernisches Historisches Museum, deposito della Confederazione; fotografia Stefan Rebsamen). […]

È necessario fare una distinzione fondamentale tra traffico interno e transito internazionale; il primo comprende i collegamenti locali, quelli fra valli alpine attraverso i valichi (fra cui l'asse longitudinale Rodano-val d'Orsera-Reno anteriore, importante per i traffici a lunga percorrenza) e quelli con la vicina pianura (sempre più frequenti dal XII secolo). Molti passi, insignificanti o quasi per il transito, ebbero fino al XX secolo una grande importanza regionale (Albrun, Bernina, Forno, Grimsel, Furka, Oberalp, Klausen, Kunkels, Flüela ecc.); in alcuni casi (Lötschen, Teodulo, Gries ecc.), essi si snodavano perfino attraverso i ghiacciai, ma ciò non ne impediva l'attraversamento con animali da soma e greggi. Per molto tempo l'efficienza dei traffici di transito dipese dai mezzi di trasporto e dall'esperienza degli uomini di montagna, che fecero della someggiatura una professione dapprima accessoria e in seguito anche principale. Un vero e proprio traffico attraverso le Alpi si sviluppò a partire dalle valli meridionali, in quanto piccoli mercanti della val d'Aosta (dal tardo Medioevo), della val Calanca (dal XVI secolo) e della regione dei laghi insubrici commerciavano con zone a nord della catena alpina; in direzione opposta, dal Medioevo al XX secolo, erano esportati soprattutto bovini ed equini. I trasporti su carro dapprima (XIX secolo), le ferrovie e l'automobile in seguito, concentrarono l'intero peso dei traffici sulle nuove strade ferrate e carrozzabili dei fondivalle principali (in qualche caso laterali); in tempi recenti, un certo numero di passi secondari è stato reso di nuovo accessibile al turismo e ai traffici interni grazie alla costruzione di semiautostrade.

Transito

L'attrattività dei traffici internazionali transalpini fu sempre legata a quella esercitata in campo ecclesiastico-religioso, economico, politico e culturale dall'area mediterranea (soprattutto italiana) e al potere economico delle regioni in via di sviluppo a nord delle Alpi e in Inghilterra, dedite a professioni artigiane (e in seguito industriali). La catena alpina veniva aggirata a ovest per via marittima, circumnavigando la penisola iberica sin dalla fine del XIII secolo, o fluviale, sull'asse Rodano-Mediterraneo, e a est, lungo un'ampia fascia che conduceva fino al Mar Nero. Tutti e tre gli assi di aggiramento facevano concorrenza al transito sulle Alpi, i cui volumi variavano a seconda delle congiunture economiche, ed era riservato soprattutto ai prodotti di lusso. Il traffico di transito, sempre ambito perché fonte di posti di lavoro, fu confrontato a numerosi cambiamenti - transizione dalla mulattiera alla carrozzabile, poi alla ferrovia e all'autostrada - che causarono forti riassestamenti e concentrazioni economiche.

Qualche difficoltà di trasporto nel XVI secolo: la traversata di guadi e di valanghe. Disegno tratto dalla cronaca di Johann Jakob Wick (Zentralbibliothek Zürich, Handschriftenabteilung, Wickiana, Ms. F 34, fol. 28r).
Qualche difficoltà di trasporto nel XVI secolo: la traversata di guadi e di valanghe. Disegno tratto dalla cronaca di Johann Jakob Wick (Zentralbibliothek Zürich, Handschriftenabteilung, Wickiana, Ms. F 34, fol. 28r). […]
Assi del transito alpino nell'XI secolo
Assi del transito alpino nell'XI secolo […]
Assi del transito alpino nel basso Medioevo e nella prima epoca moderna
Assi del transito alpino nel basso Medioevo e nella prima epoca moderna […]

Le direttrici principali dei traffici transalpini si estendevano ad arco fra l'Europa nordoccidentale e quella nordorientale; passando per centri che si svilupparono nel corso del Medioevo (Lione, bacino del Lemano, Basilea, area del Bodano), raggiungevano le Alpi, le superavano e confluivano su Milano e su Venezia. Nell'alto e basso Medioevo, sul tratto di Alpi compreso fra il Moncenisio e il Brennero e oggi appartenente al territorio svizzero, i passi più utilizzati erano il Gran San Bernardo a ovest e lo Julier a est. Intorno al Mille le Honorantie civitatis Papie enumeravano chiuse e dazi sorti allo sbocco di importanti valli meridionali, fra cui quelli di Bard (val d'Aosta), Bellinzona e Chiavenna; il passo del Lucomagno assunse fra il X e il XII secolo un'importanza politica e commerciale, che in seguito il passo del San Gottardo gli tolse. Il Gran San Bernardo, che fece parte dapprima del regno di Borgogna e poi per un lungo periodo della signoria sabauda, prosperò nel XII e XIII secolo grazie alle fiere della Champagne, che però dapprima persero in forza di attrazione (1260-1320) e poi sparirono. Al loro posto sorsero nuove fiere, specialmente quella di Ginevra, fiorente nel XIV-XV secolo. Altri traffici furono stimolati nel XIII e XIV secolo dal passo del Sempione, reso percorribile dai grandi commercianti di Milano; anch'esso perse però completamente la funzione di asse di transito prima del 1400. Il notevole calo dei trasporti nelle Alpi occidentali è stato attribuito all'apertura della direttrice transalpina più breve (il San Gottardo); è probabile però che vi siano anche altre motivazioni: occorre infatti pensare anche allo spostamento verso i passi retici e il Brennero, e alla concorrenza che dal 1300 ca. offriva la navigazione marittima, più rischiosa e lenta ma in grado di trasportare quantità di gran lunga superiori. Nel transito europeo, il San Gottardo fu dapprima semplicemente un valico utilizzato da pellegrini e da qualche viaggiatore e non ebbe importanza commerciale fino al XVIII secolo, quando il suo sviluppo fu favorito dalle scelte strategiche della casa austriaca degli Asburgo in materia di politica dei trasporti e dalla nascita di nuove fiere come quelle di Francoforte e Bruges, più tardi Anversa e Zurzach. Per raggiungere la Germania (attraverso Zurigo, Basilea e soprattutto la regione bodanica) le grandi case di spedizione milanesi gli preferirono, almeno dal XVI secolo, il passo dello Spluga; i passi retici e in particolare il Brennero mantennero quindi le loro posizioni fino al 1882. A ovest, lo sviluppo delle fiere di Lione (XVI secolo) provocò un imponente ma temporaneo aumento dei traffici sul Moncenisio; sempre nelle Alpi occidentali, la politica commerciale e stradale di Kaspar Stockalper vom Thurm incoraggiò, dopo il 1650 e per alcuni decenni, il trasporto di merci sul Sempione. Nel corso dell'evoluzione politica della vecchia Confederazione, il San Gottardo trovò posto tra i miti di fondazione: ciò fu possibile più per la sua importanza politico-militare che per quella economica. Se il fatto di essere la via più corta attraverso le Alpi gli consentiva di essere uno dei valichi più importanti, ciò non bastava per attirare l'attenzione dei grandi traffici.

«E se i camion in transito prendessero il treno? Per l'Europa dei trasporti di domani, il 20 febbraio: Sì!». Manifesto per la votazione popolare del 20.2.1994 sull'iniziativa delle Alpi, realizzato da Christina Borer (Museum für Gestaltung Zürich, Plakatsammlung, Zürcher Hochschule der Künste).
«E se i camion in transito prendessero il treno? Per l'Europa dei trasporti di domani, il 20 febbraio: Sì!». Manifesto per la votazione popolare del 20.2.1994 sull'iniziativa delle Alpi, realizzato da Christina Borer (Museum für Gestaltung Zürich, Plakatsammlung, Zürcher Hochschule der Künste).

La situazione cambiò radicalmente con l'apertura della linea ferroviaria (1882), che comportò un rapidissimo sviluppo. Il volume dei traffici subì un altro forte aumento con la costruzione dell'autostrada (1980); da allora si sono manifestati movimenti di opposizione sfociati nella cosiddetta «iniziativa delle Alpi», lanciata nel tentativo di proteggere la regione alpina dal traffico di transito e accettata dal popolo svizzero il 20.2.1994. Alla base del controverso progetto della nuova trasversale ferroviaria alpina (NTFA), approvato in votazione popolare il 27.9.1992 e che integra la Svizzera nella rete dell'alta velocità ferroviaria europea, vi sono anche considerazioni di ordine ecologico.

Infrastrutture

I valichi di transito, percorsi sia in inverno sia in estate, necessitavano di infrastrutture, fisse e mobili, e di personale che venivano messi a disposizione dalla popolazione locale. Sullo Julier e sul Gran San Bernardo vestigia romane e altomedievali testimoniano l'esistenza di organizzazioni di trasporto. Nelle vicinanze e comunità di valle del XIII-XIV secolo (a Osco nel 1237) si formarono cooperative di somieri (Porten nei Grigioni, marones/marronniers al Gran San Bernardo) cui potevano aderire tutti i valligiani; esse rivendicavano il monopolio dei trasporti nella loro zona e curavano la manutenzione dei sentieri. Al trasporto su singoli tratti (Teilfuhr, Rodfuhr) provvedevano a turno i membri della cooperativa; dietro al versamento di un pedaggio (forleitum, furletto/forletto), era però sempre possibile il trasporto diretto (Strackfuhr) sull'intero percorso montano; questo sistema si professionalizzò nel XVII e XVIII secolo e sostituì gradualmente la someggiatura parziale. Agli ospizi sorti nel Medioevo si aggiunsero, dal XIII secolo, depositi comunali a pagamento per merci in transito (Susten, dall'italiano soste).

«Per belle escursioni in automobile: la Svizzera». Manifesto commissionato nel 1935 dall'ufficio nazionale svizzero del turismo all'artista Herbert Matter (Museum für Gestaltung Zürich, Plakatsammlung, Zürcher Hochschule der Künste).
«Per belle escursioni in automobile: la Svizzera». Manifesto commissionato nel 1935 dall'ufficio nazionale svizzero del turismo all'artista Herbert Matter (Museum für Gestaltung Zürich, Plakatsammlung, Zürcher Hochschule der Künste).

Dal XV secolo furono migliorate le mulattiere, ben presto provviste anche di selciato, e i ponti (quelli in legno vennero ricostruiti in sasso); il ponte del Diavolo nella Schöllenen, per esempio, fu eretto nel 1595. Proprio nel punto più alto della Schöllenen venne aperto il Buco di Uri, primo traforo alpino svizzero (1707-1708; gallerie e trafori). Con la costruzione di carrozzabili sui passi alpini, iniziata in Svizzera solo nel XIX secolo (Sempione, 1801-1805; San Gottardo, 1820-1830), i somieri lasciarono il posto ai carrettieri, a loro volta sostituiti dalla ferrovia (1882); dagli anni 1960 la strada ferrata subisce la forte concorrenza delle strade nazionali e dei suoi trafori (Gran San Bernardo, 1964; San Bernardino, 1967; San Gottardo, 1980), oleodotti (1963) e gasdotti (1970). La presenza delle linee dell'alta tensione è sempre più marcata.

Volume dei trasporti

I dati quantitativi sui volumi di traffico prima del 1882 sono soltanto stime ed estrapolazioni e prendono in considerazione solo le merci in transito, non le persone.

Nel IX secolo si vendevano schiavi e cavalli a Walenstadt, intorno al Mille cavalli, schiavi, tessuti di lana, canapa, lino, stagno e spade a Bard, Bellinzona e Chiavenna; i pellegrini diretti a Roma non pagavano dazi. Intorno al 1300 si calcola che a Saint-Maurice transitassero ogni anno 400 t, 1000-1500 t sull'insieme dei valichi svizzeri (4000 sul Brennero); le merci consistevano in lana inglese, tessuti, seta italiana, tela greggia, spezie, olio, sale, acciaio, guado, cavalli (specialmente destrieri italiani), buoi, pecore e falci. Nel XV secolo i disordini politici e gli spostamenti dei traffici comportarono un evidente calo del volume dei trasporti che, attorno al 1500, non superava le cifre del 1300 (ca. 170 t sul San Gottardo); venivano trasportati riso (introdotto da poco nell'agricoltura dell'Italia settentrionale), lana (inglese), cotone, stoffe (seta intessuta di oro e di argento), aringhe affumicate, zucchero, coti, coloranti, cera e ferro. Dal 1535 la politica europea, gli spostamenti di traffici su vasta scala, le epidemie e le congiunture economiche favorirono l'aumento del volume delle merci in transito sul San Gottardo (1500 t verso il 1550; ancora in diminuzione dal 1566, prima del 1620 ritornò alla quota di 1500 t). Visto che sui passi retici passava la stessa quantità, se non addirittura superiore, di merci, si può stimare che sull'insieme dei valichi alpini svizzeri viaggiassero 3500 t nel 1550 ca., 4000 nel 1600 ca. e leggermente di meno nel 1650 ca. Dal XVI secolo, con il sorgere degli spazi economici chiusi e degli Stati nazionali, Francia e Austria convogliarono i flussi di traffico verso i propri territori, a spese della Svizzera. Nella seconda metà del XVII secolo si evitò un calo eccessivo del volume dei trasporti soltanto grazie alle attività di Stockalper. In quel periodo vino, sale, formaggio, riso, rame, stagno e ferramenta si trasformarono in prodotti di massa. Intorno al 1700 transitavano in Svizzera ca. 5000 t di merci, 6500 nel 1750 e nel 1800, e ca. 11'000 nel 1850; sul Brennero circolavano già nel 1700 12'000 t di merci, 100'000 nel 1850. La linea ferroviaria del San Gottardo ampliò notevolmente il bacino di affluenza; le merci trasportate passarono da 459'000 t nel 1889 a 728'000 un decennio più tardi (ca. 700'000 passeggeri). Nel 1999 le Alpi svizzere erano attraversate da merci con un peso netto di 26,8 milioni di t (15 nel 1970; 23,9 nel 1994), di cui 8,4 (0,8; 6,2) su gomma e 18,4 (14,2; 17,8) su rotaia; per il 75% (71% nel 1994), ossia 20 (17) milioni di t, si trattava di merci in transito, che l'Unione europea desidera il più libero possibile, mentre il resto erano merci legate al traffico interno, alle importazioni e alle esportazioni. Nel 1991-1992 in media 83'000 persone hanno attraversato ogni giorno le Alpi svizzere.

Turismo

Primi approcci

Frontespizio del primo volume della celebre opera di Horace Bénédict de Saussure del 1779 (Bibliothèque de Genève).
Frontespizio del primo volume della celebre opera di Horace Bénédict de Saussure del 1779 (Bibliothèque de Genève).

Gli effetti benefici di alcune fonti minerali e termali alpine (bagni termali), già apprezzati in epoca protostorica e romana, furono riscoperti già verso la fine del Medioevo. Dal XV secolo i pellegrini in transito sulle Alpi, meglio informati, visitarono le mete di pellegrinaggio locali situate nella fascia prealpina e alpina (Einsiedeln, grotte di S. Beato). Nel XVI e XVII secolo vennero effettuate le prime ascensioni nelle Prealpi (Pilatus, Niesen, Stockhorn) e gli umanisti Albrecht von Bonstetten (che chiamò Regina montium il Rigi), Glareano (per cui la Svizzera era la testa dell'Europa), Sebastian Münster, Johannes Stumpf e Josias Simler ebbero i primi approcci emotivi con il mondo montano. Fra i primi stranieri che si recarono in una valle alpina per ammirarne le bellezze naturali figurarono l'inviato speciale inglese Thomas Coxe e il diciannovenne margravio Albrecht Friedrich von Brandenburg, che nel 1690 rispettivamente nel 1691 visitarono il ghiacciaio di Grindelwald. Dal XVII secolo il Grand Tour offrì a coloro che lo compirono la possibilità di attraversare la Svizzera, e talvolta di visitarla in maniera più approfondita. Descrizioni di viaggi attestano fin dall'inizio del XVIII secolo un interesse accresciuto per le Alpi, decantate soprattutto dallo zurighese Johann Jakob Scheuchzer, poi dal bernese Albrecht von Haller e infine dai ginevrini Jean-Jacques Rousseau e Horace Bénédict de Saussure; al loro seguito operavano naturalisti, autori di testi odeporici e alcuni paesaggisti, che trasformavano la bellezza delle Alpi in un oggetto di mercato. Un viaggio in Svizzera con tappa sulle Alpi divenne quasi un obbligo per il ceto colto europeo del periodo compreso fra la guerra dei Sette Anni (1756-1763) e l'Elvetica.

Le attrazioni naturali costituivano, allora come oggi, l'elemento fondamentale del turismo alpino. L'interesse maggiore si concentrava sui ghiacciai; gli studi glaciologici di Franz Joseph Hugi, Edouard Desor e Louis Agassiz pubblicizzarono in generale anche l'alta montagna. I viaggiatori restavano estasiati anche davanti alle cascate, il cui elenco completo era fornito dalle guide del XVIII e XIX secolo: tra le altre Staubbach, Giessbach, Reichenbach nell'Oberland bernese, Toce in val Formazza (I) e Pissevache nel basso Vallese. Altro polo di attrazione erano le gole: per esempio quelle del Trient nel basso Vallese e dell'Aar nell'Oberland bernese (rese accessibili rispettivamente nel 1860 e nel 1889), della Tamina, a sud ovest di Pfäfers, e della Linth (Panten, GL), del Piottino nel Ticino (Dazio grande) e la Viamala nei Grigioni.

Veduta del grande ghiacciaio di Grindelwald. Incisione tratta dall'opera di Beat Fidel Zurlauben Tableaux de la Suisse ou voyage pittoresque fait dans les treize cantons, 1780-1788 (Bibliothèque cantonale et universitaire Lausanne).
Veduta del grande ghiacciaio di Grindelwald. Incisione tratta dall'opera di Beat Fidel Zurlauben Tableaux de la Suisse ou voyage pittoresque fait dans les treize cantons, 1780-1788 (Bibliothèque cantonale et universitaire Lausanne). […]

Anche le istituzioni «democratiche» suscitavano un interesse culturale: l'attenzione era rivolta alla Svizzera, raro esempio di repubblica europea nei primi secoli dell'epoca moderna, e in particolare ai cantoni rurali alpini e prealpini. Un ruolo straordinario ebbe l'entusiasmo per il mondo pastorale (popolazioni pastorali), promosso sin dalla fine del XVII secolo, in particolare dal poemetto didascalico di von Haller Le alpi del signor Haller (tedesco 1729); anche le feste alpigiane di Unspunnen del 1805 e 1808 ebbero un fortissimo effetto pubblicitario. Il «mito svizzero», creato nel XVIII secolo, ha avuto un ruolo propagandistico fino ai nostri giorni; altre fonti di attrazione, fin dal XVIII secolo, furono monumenti architettonici e opere ingegneristiche come l'Axenstrasse (tra Brunnen e Flüelen) o le nuove strade alpine (Spluga, Sempione, gola della Schöllenen).

Infrastrutture

Fino a XIX secolo inoltrato, nell'area alpina i turisti si spostavano a piedi o a cavallo; poche località erano già raggiungibili in carrozza e specialmente le signore venivano talvolta trasportate con le portantine. Facili da raggiungere erano l'Oberland bernese, la regione di Montreux e Vevey (celebre dal 1761 grazie alla Nuova Eloisa di Rousseau) e la Svizzera centrale, le cui mete turistiche erano vicine ai laghi. Più complicato era raggiungere le valli alpine del Vallese e dei Grigioni, dove di conseguenza il turismo si sviluppò più tardi: la prima locanda di Zermatt venne aperta solo nel 1839. L'accessibilità migliorò con le opere stradali, la cui realizzazione venne accelerata dopo il 1815; nei decenni seguenti il 1820 e il 1830 la navigazione a vapore sui maggiori laghi consentì viaggi più celeri e convenienti. Tuttavia, solo l'avvento delle ferrovie e la loro integrazione nella rete europea (dal 1860 ca.) democratizzò per la prima volta il turismo: tra i motivi che avrebbero dovuto portare alla costruzione della linea ferroviaria Berna-Thun (1858-1861) vi era anche il trasporto di turisti nell'Oberland bernese.

Veduta del Rigi Kulm, 1820 ca.; dipinto di Johann Heinrich Bleuler (Biblioteca nazionale svizzera, Berna, Collezione Gugelmann).
Veduta del Rigi Kulm, 1820 ca.; dipinto di Johann Heinrich Bleuler (Biblioteca nazionale svizzera, Berna, Collezione Gugelmann). […]

Fino all'inizio del XIX secolo i viaggiatori trovarono alloggio segnatamente presso istituzioni ecclesiastiche: abbazie (Einsiedeln, Disentis, Saint-Maurice), ostelli per pellegrini o foresterie conventuali (per esempio Interlaken), ospizi di valico (San Gottardo, Gran San Bernardo, Sempione) e canoniche. A Lauterbrunnen e a Grindelwald, per esempio, le canoniche furono concepite espressamente per accogliere forestieri (1770-1780 ca.); nel XVIII e XIX secolo, del resto, alcuni parroci o pastori si distinsero come pionieri e promotori del turismo, dei bagni termali e dell'alpinismo. Fungevano da alloggi, anche se dotate di strutture carenti, le soste delle strade di valico e le locande dei luoghi dove vi era una chiesa, un tribunale e un mercato. Il miglioramento degli edifici cominciò dagli stabilimenti termali, cui seguirono le pensioni, concepite appositamente per soggiorni prolungati (a Interlaken dal 1805). Nelle Alpi svizzere l'edilizia alberghiera a fini specificatamente turistici (alberghi) prese avvio solo nel 1830, grazie alla maggiore libertà di commercio e di industria; dopo una prima fase di sviluppo negli anni 1850-1875 (Montreux, Interlaken, Rigi, Sankt Moritz), essa fiorì soprattutto fra il 1890 e il 1914 (Riviera vodese, Interlaken, Alta Engadina, Zermatt).

A partire dal 1815 ca. furono rese accessibili alcune attrazioni turistiche (sentieri in gole o su ghiacciai, padiglioni panoramici ecc.). Fin dal 1840 vennero costruite cappelle anglicane per gli ospiti inglesi, e per gli alpinisti fu allestita una fitta rete di rifugi (Club alpino svizzero [CAS]); la passione per le funivie e le ferrovie di montagna, invece, cominciò a manifestarsi nel 1888, dopo la costruzione delle ferrovie del Rigi (1871-1875) e della funicolare del Giessbach (1879). La prima funivia fu inaugurata nel 1907 (sul Wetterhorn, presso Grindelwald), la prima funivia moderna nel 1927 (a Engelberg).

Congiunture

Il periodo relativamente tranquillo che seguì le guerre napoleoniche favorì il turismo nelle Alpi, in seguito promosso ulteriormente dal miglioramento delle infrastrutture (battelli a vapore, ferrovie). Lo sviluppo delle cure termali, l'alpinismo e i sanatori di alta montagna attirarono nuovi turisti; agli alpinisti sportivi si aggiunsero i dilettanti, anche loro desiderosi di vivere le sensazioni dei conquistatori e di godersi il fresco estivo in località montane molto note. Sul finire del XIX secolo una nuova ondata pubblicitaria venne avviata dall'introduzione di un nuovo mezzo di comunicazione, le cartoline illustrate; il ramo turistico, che si definiva con orgoglio «industria degli stranieri», fornì nuovi stimoli a valli alpine economicamente arretrate.

Dopo la crisi del periodo 1875-1885, la prima dal 1815, gli anni attorno al 1890 furono caratterizzati da una ripresa economica generale che impresse nuovo slancio al settore. Le nuove funivie e ferrovie di montagna consentirono a un numero maggiore di turisti di raggiungere le Alpi; la quantità e il comfort degli alberghi aumentarono. La maggiore differenziazione sociale della massa di visitatori modificò, nel contempo, la cultura del turismo: il tavolo al ristorante con servizio e vitto individuale prese il posto della classica table d'hôte, così come la stanza da bagno privata sostituì i servizi comuni al piano. Tutte le località di villeggiatura di una certa importanza fondarono enti del turismo, il cui compito era di pubblicizzare la località, procurare alloggi e gestire le strutture per gli ospiti (kursaal, passeggiate ecc.). Il turismo alpino raggiunse nel 1912-1913 un livello quantitativo che ritrovò soltanto nel 1955 e un livello qualitativo per certi versi mai più superato; lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 provocò la fine del periodo di splendore e la chiusura della maggior parte degli alberghi.

Tè danzante alla Piccola Scheidegg verso il 1935 (Biblioteca nazionale svizzera, Berna, Archivio federale dei monumenti storici, Collezione Photoglob).
Tè danzante alla Piccola Scheidegg verso il 1935 (Biblioteca nazionale svizzera, Berna, Archivio federale dei monumenti storici, Collezione Photoglob). […]

Le difficoltà del settore nel periodo fra le due guerre durarono fino alla metà degli anni 1920; l'Ufficio nazionale svizzero del turismo (UNST) contribuì a superarle, in particolare, combattendo le restrizioni imposte da alcuni Stati europei alla libertà di movimento; la crisi economica degli anni 1930 rese vane le speranze di ripresa. La seconda guerra mondiale bloccò nuovamente l'afflusso di turisti stranieri; la crisi fu in parte compensata dal turismo svizzero, dalle requisizioni dell'esercito per il «ridotto» alpino e dall'afflusso dei soldati internati. Nei primi anni del dopoguerra alcuni militari delle forze di occupazione alleate passarono periodi di congedo in Svizzera. Le Olimpiadi invernali del 1948, organizzate da Sankt Moritz che le aveva già ospitate nel 1928, diedero impulso agli sport invernali, i cui timidi inizi risalgono al 1870 ca. Nel 1890 ca. si cominciò a praticare lo sci alpino; già nel 1906 una sessantina di stazioni climatiche offriva la possibilità di trascorrere soggiorni di vacanza nella stagione invernale. Nel periodo fra le due guerre le località turistiche, colpite dalla crisi, puntarono molto sulla stagione invernale (per esempio Zermatt dal 1927), anche se a quei tempi la maggior parte degli alberghi non era neppure riscaldata.

A partire dagli anni 1950, il turismo alpino (anche invernale) conobbe uno sviluppo straordinario: funivie e seggiovie, meno costose di ferrovie a cremagliera e funicolari, divennero ben presto popolari e resero accessibili nuove vette, nuove zone sciistiche e località non raggiungibili via strada. Nel 1959 la Svizzera contava ca. 600 impianti di risalita (funivie, ovovie, seggiovie, sciovie), di cui il 95% era situato nella regione alpina e oltre l'80% era costituito da sciovie; nel 1995 gli impianti in esercizio erano 2361, fra cui 60 funicolari.

Il rilancio economico del dopoguerra consentì a un numero sempre maggiore di persone la possibilità di trascorrere le proprie vacanze sciistiche in Svizzera. In un'economia alpestre in fase di stagnazione e di fronte ad un turismo estivo poco dinamico, i posti di lavoro e la redditività del turismo invernale rappresentarono un complemento molto gradito, e anche la principale fonte di crescita (per esempio, nel 1950 la ferrovia del Gornergrat cominciò a registrare più passeggeri in inverno che in estate) nella maggior parte delle nuove stazioni climatiche (Verbier, Laax ecc.). Nel 1995 la stagione invernale produceva l'85% dei proventi del turismo dell'area alpina svizzera.

Le stazioni invernali vissero dagli anni 1960 un boom edilizio: la costruzione di un gran numero di case secondarie, in retrospettiva oggi considerata dannosa, gravò sulle infrastrutture locali in misura tale da sollevare lo scetticismo perfino dei villaggi che ne avevano potuto trarre profitto per un lungo periodo. Il turismo invernale ha subito la crisi economica del 1991-1997, incalzato fra l'altro dalla concorrenza dei Paesi vicini, meno costosi, e dall'aumento del turismo balneare extraeuropeo. Il settore paralberghiero, economicamente meno interessante, ha vissuto un periodo di stagnazione; quello alberghiero, più redditizio, ha raggiunto nel 1995 il livello più basso dal 1980.

L'innalzamento del limite delle nevicate, dovuto al riscaldamento climatico, costituisce una seria minaccia per le stazioni invernali, specialmente per quelle situate al di sotto dei 1200-1500 m; il ricorso all'innevamento artificiale, ecologicamente discutibile, può risolvere il problema solo in parte; contemporaneamente vengono evidenziate le conseguenze di un'attività edilizia smodata che ha inferto sensibili ferite a un paesaggio alpino che era intatto e costituiva la principale attrazione della stagione estiva. Il turismo alpino degli anni 1990 oscillava fra l'attaccamento a concetti convenzionali e la ricerca di modelli turistici alternativi, rispettosi dell'ambiente.

Storia culturale

Chiesa e vita religiosa

La cristianizzazione delle Alpi elvetiche e retiche prese avvio nelle città e nelle zone colonizzate dai Romani, come attestano gli scavi archeologici effettuati in siti paleocristiani. Vestigia di chiese cattedrali o di importanti basiliche sono venute alla luce nei luoghi di maggior rilievo delle civitates. A Coira (S. Stefano), Zillis e Schiers sono stati rinvenuti resti di edifici sacri cristiani del IV secolo. Nel 451 il vescovo di Como rappresentò quello di Coira (Asinione) al sinodo di Milano; allo stesso periodo risalgono la prima cattedrale di Coira e una camera funeraria situata sotto la chiesa di S. Stefano, nella quale probabilmente venivano inumati i vescovi. Anche il primo vescovo di Octodurus di cui si ha notizia, Teodulo, era legato alla Chiesa di Milano: nel 381 sottoscrisse i decreti del Concilio di Aquileia e nel 390 quelli del Concilio di Milano. A Teodulo si devono la scoperta delle reliquie della Legione tebana e la costruzione del primo santuario intitolato a S. Maurizio di Agaunum nell'odierna Saint-Maurice. Gli scavi compiuti a Sion, a Martigny, a Saint-Maurice e in alcune parrocchie rurali del Vallese dimostrano che il cristianesimo si diffuse a partire dal IV-V secolo nelle regioni già romanizzate. Nel terzo quarto del IV secolo venne inoltre fondata la città vescovile di Ginevra (dotata di un importante complesso cattedrale), strettamente connessa a Lione e alla valle del Rodano e a cui facevano capo le zone alpine dell'alta Savoia e del Lemano occidentale. Si suppone che la diocesi di Costanza, che includeva una parte del versante nordalpino svizero, sia stata creata nella seconda metà del VI secolo per il ducato di Alemannia, forse per supplire alla distruzione della diocesi di Vindonissa (la cui esistenza non è stata peraltro ancora confermata) e che essa comprendesse parte delle civitates di Avenches e di Coira rispettivamente di Losanna. La prima cattedrale di Costanza venne costruita intorno al 600. I territori a sud delle Alpi dipendevano dalle diocesi di Milano e di Como.

La fondazione di parrocchie nell'area alpina non si può comprendere se non si considera la crescita demografica della regione. La rete parrocchiale si sviluppò molto presto – probabilmente in epoca franca – a partire da chiese situate nelle zone centrali delle valli, sia legate a comunità cristiane locali, sia di proprietà di signori fondiari, ecclesiastici o secolari (Eigenkirchen).

Reliquiario in oro e in argento della metà del XII secolo, contenente le reliquie di S. Sigismondo, re dei Burgundi, fondatore del monastero di Saint-Maurice d'Agaune (Tesoro dell'abbazia di Saint-Maurice; fotografia A. & G. Zimmermann, Ginevra).
Reliquiario in oro e in argento della metà del XII secolo, contenente le reliquie di S. Sigismondo, re dei Burgundi, fondatore del monastero di Saint-Maurice d'Agaune (Tesoro dell'abbazia di Saint-Maurice; fotografia A. & G. Zimmermann, Ginevra).

I conventi, che godevano dell'importante sostegno dei casati dinastici interessati a punti di appoggio strategici sui transiti alpini, svolsero un ruolo di primo piano nell'ambito della colonizzazione e cristianizzazione delle Alpi. Le reliquie di S. Maurizio e della Legione tebana, in un primo tempo meta di pellegrinaggi, divennero uno dei centri della cristianizzazione del Vallese. Il complesso religioso che successivamente sorse a Saint-Maurice venne ampliato e consolidato dai re di Borgogna e più tardi dalla dinastia sabauda, entrambi interessati al passo del Gran San Bernardo. La fondazione dell'abbazia di Disentis, alla cui base vi sono i pellegrinaggi ai luoghi in cui erano vissuti l'eremita franco Sigisberto e il martire Placido, si deve soprattutto al vescovo di Coira Tellone, che nel 765 fece al convento una cospicua donazione, con tutta probabilità per garantire ai Vittoridi pieni poteri sulle vie di transito dell'Oberalp e del Lucomagno; altre donazioni compiute a sud delle Alpi e nella val d'Orsera dai Carolingi, dagli Ottoni e da Federico Barbarossa attestano il forte interesse degli imperatori per i passi alpini. Per la stessa ragione Pfäfers fu elevata al rango di abbazia imperiale. Centro religioso e culturale della Rezia sin dall'alto Medioevo partecipò alla fondazione dell'abbazia di Müstair, eretta nell'ultimo quarto dell'VIII secolo su un bene immobile appartenente al fisco imperiale. Anche Müstair ricevette una generosa donazione dai Carolingi; nell'881 fu ceduta al vescovo di Coira in cambio di terre alsaziane. In questo caso, il potere imperiale era probabilmente interessato al passo del Forno.

Gli impervi paesaggi alpini e le fitte foreste delle Prealpi, situati in zone lontane dai centri abitati, attirarono anche figure di asceti, che ricercavano la solitudine (eremiti). In riva alla Steinach, nei luoghi in cui si era ritirato ed era stato sepolto l'eremita Gallo, legato secondo la tradizione al monachesimo irlandese – potente canale della cristianizzazione del Giura e delle Alpi nella prima metà del VII secolo –, un prete di origine alemanna, Otmar, fondò nel 719 un convento di cenobiti che in seguito, adottata la regola benedettina, ebbe un ruolo determinante nella colonizzazione e cristianizzazione dell'Alemannia.

Un secolo e mezzo più tardi Meinrado, monaco di Reichenau che desiderava vivere in un luogo solitario, si ritirò nella «Foresta oscura», dove fu assassinato nell'861. Nei luoghi del suo romitaggio altri eremiti – Benno, vescovo di Metz esautorato dei propri poteri dai suoi nemici, ed Eberardo, canonico di Strasburgo – fondarono l'abbazia benedettina di Einsiedeln. Benché gli Ottoni avessero beneficiato l'abbazia di una generosa donazione (costituita però da beni sparsi, che includevano terre perfino nel Vorarlberg), essa sul piano religioso conservò la propria autonomia, divenendo nella regione un centro della riforma monastica di Gorze, il cui influsso si estese alle abbazie di Muri (1027/1030), Hermetschwil (1083 ca.) ed Engelberg (poco prima del 1124). Altri ordini religiosi contribuirono a cristianizzare e incivilire le Alpi: in Svizzera francese i cluniacensi si stabilirono in una serie di priorati e svilupparono l'attività parrocchiale nelle campagne; i cistercensi colonizzarono Hauterive (FR), Hautcrêt e altri luoghi delle Prealpi a partire dalla metà del XII secolo; i premonstratensi si stabilirono a Humilimont, presso Marsens, nel 1137, i certosini alla Valsainte, nella Gruyère, nel 1295, e a Géronde, nei pressi di Sierre, nel 1331.

Nei luoghi più isolati come il Ranft obvaldese (Flüeli), la valletta sopra Engelberg (Horbistal), l'Entlebuch, l'alto Toggenburgo o la zona di Einsiedeln si costituirono movimenti mistici maschili e femminili, la cui eco raggiunse anche l'Alsazia. Mentre i celebri scritti del Gottesfreund vom Oberland, diffusi a metà del XIV secolo dal banchiere renano Rulman Merswin, sono stati ritenuti inattendibili dai ricercatori del XIX secolo, altri documenti attestano l'esistenza nel XIV e XV secolo di gruppi mistici legati alla Renania nella Svizzera centrale.

La rete delle parrocchie si infittì nel XIII secolo in seguito alla crescita demografica, che in Europa aveva raggiunto il culmine. Vennero costruite nuove parrocchie per gli abitanti delle zone più discoste, che per recarsi nei centri parrocchiali dovevano percorrere lunghi tragitti, resi ancora più disagevoli dai rigori del clima invernale. Lo sviluppo di borghi e città verificatosi nel XIII-XV secolo comportò la creazione di nuove chiese urbane o il distacco di quelle già esistenti dalla casa madre; le chiese delle grandi parrocchie di campagna persero così di importanza. Gli alpeggi per l'estivazione del bestiame, situati a un'altitudine elevata, furono cristianizzati solo nel XVI secolo grazie a missioni dei cappuccini (Wildkirchli presso Appenzello, Rigi fra Arth e Weggis, ecc.).

La Riforma incontrò condizioni favorevoli al proprio sviluppo in alcune città o borghi alpini, in particolare nei Grigioni e, in forma meno duratura, nel Vallese. Un forte impulso alla Controriforma giunse dalla visita in Svizzera dell'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, dall'azione determinante di alcuni magistrati della Svizzera centrale che avevano partecipato al Concilio di Trento e, soprattutto, dalle missioni cappuccine. Nel Vallese «invaso» dai cappuccini della Savoia e della Svizzera centrale, che tennero innumerevoli prediche nella parte alta della valle, i protestanti rinunciarono a perseguire i loro obiettivi; si imposero invece nei Grigioni e, ovviamente, nelle valli alpine dipendenti dalle città riformate di Berna, San Gallo e Zurigo, vincendo le resistenze della popolazione locale (specialmente a Les Ormonts e nell'Oberland bernese), in un primo tempo dichiaratamente ostile agli sforzi dei predicatori riformati.

Nella Svizzera centrale e nel Vallese la religione cattolica popolare trovò espressione in pratiche devozionali che presentavano legami con il paesaggio alpino. Antichi simboli pagani quali massi erratici e grotte vennero «cristianizzati» da un'apparizione della Vergine o dall'affissione di un crocifisso; si scoprirono sorgenti miracolose; in luoghi sacri (in parte antichi luoghi di culto pagani) vennero costruite cappelle per pellegrinaggi la cui custodia era affidata a eremiti; si allestirono veri e propri «sacri monti» come quelli della Madonna del Sasso a Locarno e di Hergiswald sulle pendici del Pilatus. Queste pratiche devozionali, anche se in apparenza legate a superstizioni piuttosto che a una spiritualità alpina, contribuirono a consolidare le comunità montane. Lo studio delle pratiche religiose cristiane di queste regioni consente di evidenziare alcune tematiche di fondo: la memoria dei defunti, onorata nelle cappelle oltre che, evidentemente, negli ossari e nei cimiteri, e le raffigurazioni di santi molto popolari come Cristoforo e Rocco. Gli stretti legami fra patriottismo e religione trovarono espressione in particolare nelle commemorazioni di battaglie, ma anche nella venerazione per santi militari come Giorgio o Maurizio.

Riforma e Controriforma provocarono nella rete delle parrocchie alpine mutamenti di natura diversa a seconda delle regioni. Mentre a nord il numero delle parrocchie diminuì o tuttalpiù rimase stabile, prima di crescere nuovamente nel XVIII secolo con la ripresa economica, nelle Tre Leghe – dove sussisteva una forte concorrenza fra le confessioni – e nell'alto Vallese esso raddoppiò a partire dal XVI-XVII secolo. L'attività pastorale poté essere svolta in modo più completo e accurato grazie all'impegno dei nuovi ordini religiosi (gesuiti e, soprattutto, cappuccini), alle borse di studio in atenei stranieri assegnate agli studenti di teologia e alla fondazione di alcune scuole di teologia (per esempio a Einsiedeln). Solo alla fine del XX secolo, in seguito allo spopolamento delle regioni alpine, la situazione si è nuovamente ribaltata.

L'arte medievale nelle regioni alpine

Se è difficile parlare di una cultura artistica alpina con caratteristiche e tradizioni comuni, cioè di un'unitaria Kunstlandschaft alpina attraverso i secoli, è pure certo che nella geografia artistica europea del Medioevo le aree alpine hanno avuto un'importanza e un significato particolari: sia per la relativa abbondanza di centri di produzione, dovuta alla presenza di numerosi complessi monastici, sia come spazio d'incontro e di contatto tra gli artisti, a vantaggio di incroci e compenetrazioni tra culture artistiche di diversa origine. Inoltre, determinate testimonianze della produzione artistica della regione hanno potuto sopravvivere più a lungo che altrove, anche grazie a un certo conservatorismo degli abitanti e ai bruschi cambiamenti delle condizioni economiche e politiche, che in alcuni casi hanno prodotto una certa cristallizzazione della situazione. Queste regioni, attraversate da strade che mettevano in comunicazione le città italiane e la sede papale con il settentrione e l'occidente dell'Europa, rivestirono per molti secolo grande importanza non solo strategica e politica, ma anche artistica.

L'attuale Svizzera conta un numero considerevole di monumenti medievali alpini grazie alla presenza sul proprio territorio di antiche sedi diocesane di particolare importanza, quali Coira, Sion, Ginevra e Losanna, nonché di abbazie benedettine come Saint-Maurice, Disentis e Müstair. Anche grazie all'intervento dei re e in seguito degli imperatori franchi, nel corso dell'VIII e IX secolo si assistette al moltiplicarsi dei monasteri nell'intera area alpina, situati in luoghi strategici che permettevano di controllare il transito attraverso i passi dei Grigioni (San Gallo, Pfäfers, Disentis, Müstair).

Nella regione alpina l'età carolingia rivestì dunque particolare rilievo per quanto attiene alla produzione artistica. Importanti edifici, quali i conventi di Müstair e Mistail, testimoniano del tipo di chiesa a sala triabsidata; a Disentis si conservano notevoli frammenti di decorazione a stucco; a Schänis, Coira e Saint-Maurice lastre scolpite provenienti da recinzioni del coro o da amboni. Pregevolissimi affreschi sono visibili a Müstair, dove si trova il più vasto ciclo pittorico carolingio mantenutosi fino ai nostri giorni. Per le opere di oreficeria si segnalano Saint-Maurice e Coira, per i manoscritti miniati San Gallo e Pfäfers. Sia nelle forme architettoniche sia nella pittura, le influenze milanesi o in genere lombarde furono assai forti, anche se affiancate dalla presenza di modelli differenti; gli affreschi di Naturno (I), località dipendente dalla diocesi di Coira fino al 1820, rivelano ad esempio influenze insulari provenienti verosimilmente da San Gallo. Nell'alto Medioevo nei centri di pianura – soprattutto a Milano, Verona, Aquileia, Costanza, Augusta, Salisburgo e nella grande abbazia di Reichenau – vennero inoltre elaborati modelli artistici e soluzioni che esercitarono particolari e persistenti influenze nelle aree alpine.

Un altro grande momento dell'arte nelle Alpi, e per la quantità delle opere conservate e per la loro importanza, è il XII secolo. Analogamente al periodo precedente, è l'area retica che offre le opere e gli esempi artistici più rimarchevoli. Particolarmente significativi sono gli affreschi della cripta della chiesa abbaziale di Monte Maria (I), fondata verso la metà del XII secolo. Questi affreschi mostrano caratteri nordici, non lombardi, e i loro esecutori dovettero giungere dalla Germania meridionale, forse da Ottobeuren, da dove provenivano i primi abati del monastero. Al ciclo di Burgeis si riferiscono gli affreschi romanici di Müstair, quelli della vicina chiesetta di Tubre (I) e alcuni affreschi della cappella del castello di Appiano (I). Sempre nell'antica Rezia è conservato uno spettacolare monumento della pittura medievale: il soffitto ligneo della chiesa di S. Martino a Zillis dipinto verso il 1160. Nella cattedrale di Coira si trova un gruppo di capitelli, in cui sono vive le influenze lombarde dirette o provenienti dal cantiere del Grossmünster di Zurigo, e le statue-colonne risalenti all'inizio del XIII secolo, per le quali sono state frequentemente evocate influenze dalla Provenza e, più verosimilmente, dall'Italia settentrionale. Numerose e spesso di grande qualità, infine, sono le sculture lignee della fine del XII e del XIII secolo provenienti dal Vallese e dai Grigioni. Uno dei più significativi monumenti gotici nelle regioni alpine della Svizzera è la chiesa di Valère, antica cattedrale di Sion eseguita in tempi successivi tra il XII e il XIII secolo e provvista di un gruppo di capitelli singolarissimi, che nella decorazione degli abachi hanno qualche elemento comune con i capitelli della cattedrale alpestre di Embrun nell'alto Delfinato.

Nel XIV secolo molte chiese e cappelle dell'area alpina furono oggetto di una decorazione pittorica, in alcuni casi abbastanza ben conservata, mentre ben poco è rimasto della contemporanea decorazione profana. In questo periodo si affiancarono, si incontrarono e contrastarono tendenze e modelli provenienti da diverse direzioni, dal giottismo lombardo al gotico cortese di Francia, all'espressionismo gotico dell'alto Reno. Grandi personalità di artisti lavorarono in quell'epoca nella regione delle Alpi: dal dolcissimo Maestro di S. Biagio di Ravecchia al drammatico Maestro di Waltensburg, attivo nei Grigioni. All'interno del castello di Chillon troviamo antiche testimonianze della penetrazione artistica italiana, segnatamente nelle pitture della cappella, accanto al grafismo elegante di gusto francese che appare nelle più tarde – e troppo ridipinte – pitture della Camera domini.

L'adorazione dei Magi, pittura su legno anonima, 1435 ca. (chiesa di Valère, Sion, MV12982_21) © Musées cantonaux du Valais, Sion; fotografia Michel Martinez & Bernard Dubuis.
L'adorazione dei Magi, pittura su legno anonima, 1435 ca. (chiesa di Valère, Sion, MV12982_21) © Musées cantonaux du Valais, Sion; fotografia Michel Martinez & Bernard Dubuis. […]

Agli inizi del XV secolo Ginevra, grazie ai suoi contatti con il Piemonte e la Savoia, divenne a tutti gli effetti un centro importante della Kunstlandschaft alpina, mentre precedentemente i suoi rapporti artistici erano piuttosto polarizzati verso i centri della valle del Rodano. In questo ambito alpino si mossero artisti quali Giacomo Jaquerio, pittore torinese attivo a Ginevra, Jean Bapteur, Perronet Lamy e Peter Maggenberg (affreschi a Friburgo e a Sion). Una produzione artistica tipica dell'area alpina occidentale nel XV secolo è quella dei cori lignei scolpiti, tipologia di cui si trovano esempi dalla stessa Ginevra a Saint-Claude nel Giura francese, da Aosta a Saint-Jean-de-Maurienne in Savoia, da Romont a Estavayer-le-Lac, Losanna e Friburgo. La prima metà del XV secolo aveva visto accedere alle più alte dignità del mondo occidentale due signori delle regioni alpine a conferma dell'importanza che ebbe quest'area nella storia europea del tardo Medioevo: il duca di Savoia Amedeo VIII, eletto papa con il nome di Felice V, e il duca d'Austria Federico V, che divenne imperatore con il nome di Federico III.

L'architettura nell'età moderna e contemporanea

Il palazzo Stockalper a Briga. Fotografia, 1995 (Heinz Dieter Finck).
Il palazzo Stockalper a Briga. Fotografia, 1995 (Heinz Dieter Finck). […]

Nei primi secoli dell'età moderna la regione alpina perse d'importanza sul piano politico ed economico. Gli interessi del commercio mondiale, che prima ruotavano attorno ai traffici interni europei, si orientarono verso il commercio d'oltremare, e di conseguenza il transito sui passi alpini diminuì sensibilmente. Con la Riforma, inoltre, all'interno delle Alpi si formarono barriere confessionali, che costituirono un elemento di divisione anche sul piano culturale. Nelle regioni cattoliche, in seguito alla Riforma tridentina vi fu grande richiesta di nuovi edifici religiosi e di arredi sacri; negli antichi centri culturali – sedi vescovili come Coira, abbazie come quelle di Einsiedeln, Pfäfers, Engelberg o Disentis – nel XVII e XVIII secoli sorsero sfarzosi edifici barocchi. Anche i nuovi ordini dei cappuccini e dei gesuiti eressero complessi conventuali, ospizi (nei Grigioni) e collegi in stile barocco; alla grande fioritura del nuovo indirizzo artistico parteciparono anche le parrocchie, costruendo chiese e cappelle decorate con splendide pitture, stuccature, sculture, opere di argenteria e di oreficeria. Nelle regioni cattoliche l'architettura religiosa assunse un carattere spiccatamente barocco, mentre in quelle riformate si conservarono nel tempo gli edifici risalenti al Medioevo, di linea più sobria. Nei cantoni e nei Paesi alleati si costruirono edifici pubblici in sintonia con i nuovi rapporti di potere, quali palazzi del Consiglio (Svitto, Sarnen), granai (Svitto, Altdorf), arsenali (Stans, Zugo) o sedi di baliaggio (Lottigna, Bironico). Fra i committenti privati vi erano anzitutto gli imprenditori militari arricchitisi con il servizio mercenario, che fecero costruire eleganti dimore ispirate a modelli stranieri (Svitto, Näfels, Gersau). Il palazzo Stockalper a Briga è una delle rare testimonianze di patrimonio privato accumulato grazie ad attività economiche nella regione alpina.

Nei primi secoli dell'età moderna, come in altre epoche, la catena alpina fu più di stimolo che di ostacolo agli artisti, dal momento che, pur imponendo loro barriere topografiche, li spingeva ad assumere un atteggiamento di apertura. Se da un lato nelle regioni alpine le tradizioni autoctone si conservarono per un periodo particolarmente lungo, dall'altro le scarse risorse locali incoraggiarono l'emigrazione. Poiché tutti i grandi centri culturali erano situati al di fuori dalla regione alpina e le condizioni di vita in montagna erano divenute più precarie, le migrazioni (di norma stagionali) verso le principali città acquisirono importanza economica e culturale, divenendo un fenomeno di respiro europeo. Conoscenze artigiane e forme sociali di organizzazione si conservarono nelle regioni legate per tradizione ai movimenti migratori (specialmente le valli sudalpine); grazie al loro talento e agli stretti rapporti di parentela, gli artigiani attivi all'estero conseguirono un buon successo in tempi brevi divenendo, dal canto loro, un importante tramite culturale con le loro terre d'origine, nelle quali diffusero le nuove conoscenze acquisite. Fra le maestranze itineranti sono particolarmente degni di nota i cosiddetti «Prismeller» della Valsesia, i comaschi, i ticinesi del Sottoceneri e quelli «grigioni» o mesolcinesi. Fra le categorie professionali più rappresentate vi erano architetti, scalpellini, stuccatori, pittori, scultori e falegnami. Alcuni di loro raggiunsero fama europea come i ticinesi Domenico Fontana, Carlo Maderno e Francesco Borromini, che per un secolo influenzarono l'architettura a Roma. Ai rapporti culturali a carattere internazionale si contrapponevano le attività artistiche regionali e locali, legate in epoca barocca a dinastie di artisti come le famiglie vallesane Sigrist e Ritz.

Il riassetto sociale cominciato alla fine del XVIII secolo relegò in secondo piano la committenza di antica tradizione (abbazie e imprenditori militari). Nelle rare zone protoindustrializzate della regione alpina e prealpina (per esempio Glarona e Appenzello Esterno) emerse un nuovo ceto imprenditoriale, il cui potere si manifestò sul piano architettonico nella costruzione di ville padronali. Verso la metà del XIX secolo, con lo sviluppo del turismo e delle infrastrutture stradali e ferroviarie e con l'ausilio di nuove forme di energia, prese avvio una rapida espansione edilizia che modificò in modo decisivo la fisionomia della regione alpina.

Manifesto per l'Hôtel Belvédère sulla strada della Furka, 1906 ca. (Biblioteca nazionale svizzera, Berna).
Manifesto per l'Hôtel Belvédère sulla strada della Furka, 1906 ca. (Biblioteca nazionale svizzera, Berna). […]

Con l'esaltazione del mito delle Alpi attuata nell'ambito della Difesa spirituale del Paese, la produzione e il patrimonio culturale della regione alpina acquisirono importanza sul piano nazionale. Lo chalet, ritenuto la casa svizzera per antonomasia, comparve anche negli agglomerati urbani dell'Altopiano; i grandi alberghi di aspetto cittadino costruiti in precedenza nella regione alpina, nell'ottica della salvaguardia del patrimonio nazionale auspicata dall'Heimatschutz, vennero invece demoliti perché considerati corpi estranei al paesaggio montano (ad esempio Rigi-Kulm). Nel dopoguerra la presenza forte dei monti e le condizioni estreme dell'edilizia alpina hanno fornito nuovi spunti all'architettura contemporanea; architetti e artisti, ispirandosi all'ambiente montano e alla sua tradizione, ancora oggi spesso arcaica, hanno creato edifici semplici e suggestivi. Le nuove chiese di montagna di S. Benedetto a Sumvitg (di Peter Zumthor, 1988) o le cappelle di Mario Botta a Mogno (1995) e sul Monte Tamaro (1996), ma anche varie capanne del Club alpino svizzero si pongono come segni forti nel paesaggio alpino. Sul confronto con le Alpi – frequente peraltro soprattutto in pittura – è incentrato il progetto Furk Art di Marc Hostettler, iniziato nel 1983 e articolato in vari e misurati interventi compiuti da artisti nella zona dell'albergo Furkablick.

Percezione e ideologia

La «scoperta» delle Alpi

Quale influsso sull'immagine delle Alpi hanno avuto l'evoluzione storica da un lato, i cambiamenti ecologici e dovuti alle attività umane dall'altro? In Europa non vi è nessun ambiente naturale che abbia contribuito con la stessa forza delle Alpi a plasmare l'immaginario collettivo sia degli abitanti della regione alpina sia degli osservatori esterni. Il processo che a partire dal Medioevo ha portato a una connotazione simbolica e ideologica della montagna ha conosciuto varie tappe salienti; in precedenza l'ambiente montano era percepito come un luogo repulsivo e ostile, da evitare o tuttalpiù da attraversare per la via più diretta possibile. Non sorprende quindi che né i Celti né i Romani si siano preoccupati di dare un nome ai monti alpini, salvo qualche eccezione di particolare rilievo come il Mons Jovis/Mons Poeninus (Gran San Bernardo): l'appropriazione in chiave toponomastica è un fenomeno legato alla modernità e alla scoperta delle Alpi.

La situazione mutò nel Medioevo con l'aumento della densità della popolazione, la valorizzazione delle valli e l'intenso traffico attraverso i passi alpini. Temute da sempre, le «montagne maledette», ricche di insidie, davano adito a tutta una serie di credenze: fra il Vallese e il Delfinato, ad esempio, verso il 1430 sono attestati gli elementi costitutivi dei sabba delle streghe; demonizzati dopo breve tempo, divennero pretesto per la grande offensiva contro la stregoneria, che dalle Alpi si estese poi all'intera cristianità occidentale. La crociata contro mostri e altri demoni maligni condotta in quello stesso periodo dalla Chiesa portò a disseminare i monti di statue e di luoghi di culto e di devozione a santi protettori, fra cui Nicola, Giacomo, Bernardo e Teodulo.

La prima vera «scoperta» delle Alpi risale al Rinascimento, quando si cominciò a considerare la montagna per se stessa, sia nella realtà sia nella modalità di rappresentazione. In un certo senso il Rinascimento cominciò a delinearsi nel 1387, quando il monaco lucernese Niklaus Bruder tentò con cinque compagni la prima ascensione del Pilatus, sfidando i divieti religiosi legati ai presunti pericoli di una montagna mitica. Una nuova, più realistica, modalità di rappresentazione del paesaggio fu inaugurata dal pittore Konrad Witz con il dipinto La pesca miracolosa (1444), un panorama del massiccio del Monte Bianco osservato dalla rada di Ginevra; la delimitazione di una regione per mezzo di una montagna che fungeva da orizzonte conferiva oggettività allo sguardo sul paesaggio.

«Elvezia: questo è il Paese svizzero o la Confederazione» proclama il titolo dell'illustrazione tratta dalla Cosmographia di Sebastian Münster, pubblicata a Basilea nel 1552 (Bibliothèque de Genève, Archives Nicolas Bouvier).
«Elvezia: questo è il Paese svizzero o la Confederazione» proclama il titolo dell'illustrazione tratta dalla Cosmographia di Sebastian Münster, pubblicata a Basilea nel 1552 (Bibliothèque de Genève, Archives Nicolas Bouvier). […]

Il processo di desacralizzazione della montagna fu però avviato dalle élite intellettuali di Zurigo e di Berna, che cominciarono ad osservarla e a studiarla in modo scientifico. L'ascensione del Pilatus, tentata di nuovo dall'umanista sangallese Vadiano, che non aveva scrupoli religiosi o scopi utilitari (1518), segnò simbolicamente l'avvio di un rapporto nuovo con il mondo alpino. Già nel 1541 l'umanista e naturalista Konrad Gessner descrisse la commozione provata durante la contemplazione di uno spettacolare panorama montano; nel 1538 Aegidius Tschudi fu il primo a dedicare un trattato di geografia alle Alpi retiche. Nel 1578 il bernese Thomas Schöpf disegnò la prima carta (dell'Oberland bernese); i cosmografi, fra cui Sebastian Münster nel 1543, inclusero nelle loro opere la descrizione delle Alpi. Il celebre Josias Simler, teologo e storico, nel 1574 pubblicò a Zurigo l'opera De Alpibus Commentarius, nella quale il termine «Alpi» assumeva varie accezioni di cui alcune sopravvissute fino a oggi: oltre a designare la catena che separava l'Italia dal resto dell'Europa, esso indicava i valichi della catena stessa e, in senso lato, i pascoli situati sulle pendici dei monti.

La modalità di rappresentazione nata nel Rinascimento non si diffuse prima del XVIII secolo, in quanto nel XVII secolo, pur non ignorando del tutto la montagna, si preferì raffigurarla come un ostacolo. Topografi e cartografi evidenziarono in particolare la funzione di confine e di barriera svolta dalla montagna per mezzo della prospettiva cavaliera. È il caso, ad esempio, della Topographia Helvetiae, Rhaethiae et Valesiae di Matthäus Merian (1642).

Un mostro alpino appare a un autoctono. Incisione che illustra l'edizione dell'Itinera per Helvetiae alpinas regiones di Johann Jakob Scheuchzer pubblicata nel 1723 a Leida (Collezione privata).
Un mostro alpino appare a un autoctono. Incisione che illustra l'edizione dell'Itinera per Helvetiae alpinas regiones di Johann Jakob Scheuchzer pubblicata nel 1723 a Leida (Collezione privata). […]

A partire dalla fine del XVII secolo, in stretta connessione con l'evoluzione del pensiero scientifico, furono sviluppate molte riflessioni di ordine fisico-teologico sulla montagna. Il pastore vodese Elie Bertrand fu tra i primi a pubblicare un trattato generale sui monti (1754), l'Essai sur les usages des montagnes, in cui rivelava di aver scoperto nell'apparente caos dei rilievi topografici l'esistenza di un ordine creato da Dio appositamente per gli esseri umani. Già a metà del XVIII secolo i nuovi metodi di esplorazione modificarono profondamente il modo di percepire le Alpi; grande pioniere in tal senso fu lo studioso zurighese Johann Jakob Scheuchzer, instancabile ouresiphoítes («frequentatore di monti», anche titolo di una sua guida alle montagne svizzere) e autore di molte opere pubblicate fra il 1700 e il 1723, note sotto il titolo generico di Itinera alpina. Nel 1760 Gottlieb Sigmund Gruner pubblicò una descrizione particolareggiata dei ghiacciai (Die Eisgebirge des Schweizerlandes); a poco a poco gli eruditi si trasformarono in audaci alpinisti allo scopo di conquistare le vette più alte, tappa decisiva della smitizzazione della montagna cominciata nel Rinascimento. Ascensioni importanti si susseguirono nei Grigioni, nell'Oberland bernese, nel Vallese e nel massiccio del Monte Bianco; impossibile in questa sede citare tutti i pionieri dell'alpinismo, spesso naturalisti di fama ai quali ben presto si sostituirono viaggiatori abbienti (fra cui molti britannici). Ginevra ebbe un ruolo di primo piano nella promozione della visita ai ghiacciai, che divenne un'autentica moda; Horace Bénédict de Saussure, noto per l'ascensione del Monte Bianco compiuta nel 1787 (un anno dopo la prima), era un appassionato sperimentatore scientifico e si pose l'obiettivo di indagare i misteri della geomorfologia. Anche il naturalista ginevrino Jean-André Deluc, che considerava le Alpi una sorta di immenso laboratorio, adottò questo approccio enciclopedico, caratteristico dell'Illuminismo.

Temporale con colpo di fulmine sul ghiacciaio inferiore di Grindelwald. Olio su tela di Caspar Wolf, 1775 ca. (Aargauer Kunsthaus, Aarau).
Temporale con colpo di fulmine sul ghiacciaio inferiore di Grindelwald. Olio su tela di Caspar Wolf, 1775 ca. (Aargauer Kunsthaus, Aarau). […]

Un'altra innovazione del XVIII secolo consiste nella diffusione di una mentalità secondo cui le montagne, oltre che oggetto di ricerca sperimentale, venivano percepite come uno spettacolo sublime. Tale sensazione era determinata dall'incontro fra l'essere sensibile e il paesaggio grandioso. Fu il grande erudito e letterato bernese Albrecht von Haller a rivelare la dimensione pittoresca e sentimentale di una montagna in profonda armonia con la vita semplice dei suoi abitanti; il suo poemetto sulle Alpi, pubblicato per la prima volta nel 1732 e tradotto dopo breve tempo, ebbe 11 edizioni quando l'autore era ancora in vita. La sociologia sentimentale degli «alpicoli», felici abitanti dei monti, acquisì una connotazione poetica negli Idilli di Salomon Gessner (1762), in cui l'autore idealizza i pastori descrivendoli come virtuosi, robusti e ospitali; antropologia sociale e cornice naturale trovarono compiuta espressione letteraria nella Nuova Eloisa di Jean-Jacques Rousseau (1761). Il paesaggio alpestre, scoperto dalla letteratura, divenne presto soggetto di opere pittoriche e di incisioni colorate. Il favore del pubblico per i motivi alpestri incoraggiò la creazione di vere e proprie scuole della pittura di paesaggio in Svizzera: di ispirazione preromantica quella di Caspar Wolf o idealizzata quella di Johann Ludwig Aberli nel XVIII secolo, di vena romantica e affascinata dallo spettacolo offerto dalle forze naturali quella ginevrina della prima metà del XIX secolo (François Diday, Alexandre Calame).

Rilevamento della cascata di Staubbach nella valle di Lauterbrunnen. Acquaforte di Balthasar Anton Dunker e Joseph Störklin secondo uno schizzo di Caspar Wolf, tratta dall'opera Merkwürdige Prospekte aus den Schweizer Gebürgen und derselben Beschreibung di Jakob Samuel Wyttenbach, stampata a Berna da Abraham Wagner nel 1777 (Zentralbibliothek Zürich, Graphische Sammlung und Fotoarchiv).
Rilevamento della cascata di Staubbach nella valle di Lauterbrunnen. Acquaforte di Balthasar Anton Dunker e Joseph Störklin secondo uno schizzo di Caspar Wolf, tratta dall'opera Merkwürdige Prospekte aus den Schweizer Gebürgen und derselben Beschreibung di Jakob Samuel Wyttenbach, stampata a Berna da Abraham Wagner nel 1777 (Zentralbibliothek Zürich, Graphische Sammlung und Fotoarchiv). […]

Le nuove costruzioni stradali realizzate nella regione alpina attorno al 1830, audaci opere d'arte e primi araldi del progresso tecnico, attirarono lo sguardo sulle Alpi e modificarono in modo fondamentale il rapporto dei viaggiatori con la montagna. Le opere di Friedrich Wilhelm Delkeskamp, Rudolf Koller o Johannes Weber illustrano bene il fascino esercitato dal contrasto fra tecnica e natura. Gli artisti che si stabilirono nelle valli ormai aperte al turismo espressero la loro percezione delle Alpi e dei loro abitanti in modo vario (sovente quali forestieri, perché tali essi rimasero): Giovanni Segantini, primo pittore europeo a stabilirsi in permanenza in alta montagna, scelse il simbolismo; il bregagliotto Giovanni Giacometti utilizzò il colore in maniera libera manifestando un'impulsiva sensualità. Le tele espressioniste di Ernst Ludwig Kirchner si presentano come psicogrammi che mettono a nudo la sua anima; Oskar Kokoschka ha dipinto paesaggi spiritualizzati.

Alpi e identità svizzera

Sul piano storico, le regioni di montagna hanno generalmente favorito l'affermazione delle identità: già molto presto, fin dal Rinascimento, si può quindi associare alle Alpi l'immagine della nazione svizzera. Si costituì un modello svizzero della libertà, vissuta dai montanari in modo radicalmente diverso rispetto a quello imposto dall'ordinamento sociale dominante nelle grandi monarchie. Il XVIII secolo diede a queste idee una coerenza nuova, correlandole esplicitamente a un modello di paesaggio. Poiché il vero Svizzero non poteva essere che un montanaro, l'intera storia elvetica venne reinterpretata alla luce di uno specifico «immaginario» storico e topografico; pastori e montagne divennero elementi costitutivi dell'identità svizzera, come si può osservare, ad esempio, nei racconti di Johanna Spyri incentrati sulla figura di Heidi.

La culla della Confederazione svizzera. Studio preparatorio del pittore ginevrino Charles Giron per il grande dipinto murale che dal 1901 orna la sala del Consiglio nazionale del Palazzo federale di Berna (Collezione Croce Rossa; fotografia A. & G. Zimmermann, Ginevra).
La culla della Confederazione svizzera. Studio preparatorio del pittore ginevrino Charles Giron per il grande dipinto murale che dal 1901 orna la sala del Consiglio nazionale del Palazzo federale di Berna (Collezione Croce Rossa; fotografia A. & G. Zimmermann, Ginevra). […]

Tali riferimenti svolsero un ruolo essenziale nel XIX secolo, quando si formò il nuovo Stato federale: confrontata con i grandi Stati nazionali, la Svizzera trovò la propria legittimità nelle sue funzioni di «madre dei fiumi» (Helvetia mater fluviorum) e di custode dei valichi al centro dell'Europa. La coscienza politica svizzera si espresse attraverso riferimenti alle Alpi a più riprese: nei grandi anniversari patriottici (sesto centenario della Confederazione nel 1891), nelle decorazioni del Palazzo federale (dipinto murale di Charles Giron per la sala del Consiglio nazionale, 1901), nella protezione della natura – che a cavallo fra XVIII e XIX secolo si fondava soprattutto su motivazioni ideologiche e patriottiche e che portò alla creazione del Parco nazionale svizzero – e nelle esposizioni nazionali. Non sorprende pertanto che l'opera di Ferdinand Hodler, profilatosi nonostante la sua audacia artistica come una sorta di pittore ufficiale dello Stato svizzero, sul piano tematico sia incentrata sulle Alpi e su argomenti storici, né tantomeno che la pubblicità abbia ampiamente sfruttato immagini attinte dal mondo alpino, quali mucche al pascolo o il Cervino. Alla fine del XX secolo queste immagini hanno perso parte della loro valenza simbolica, in corrispondenza con la crescente opacità dei riferimenti alla storia e all'identità in una società in rapida mutazione.

Riferimenti bibliografici

  • La lista seguente corrisponde a una scelta di tipo selettivo. In linea di massima, ci si limita qui a segnalare pubblicazioni recenti di carattere generale, pur tenendo presenti anche opere di storia locale, regionale o cantonale ritenute particolarmente significative per l'impostazione e i metodi adottati.
Generalità
  • Le Alpi e l'Europa, 5 voll., 1974-1977
  • J.-F. Bergier (a cura di), Geschichte der Alpen in neuer Sicht, 1979
  • P. Guichonnet (a cura di), Histoire et civilisations des Alpes, 2 voll., 1980
  • E.A. Brugger et al. (a cura di), Umbruch im Berggebiet, 1984
  • Das Gebirge: Wirtschaft und Gesellschaft, 1985
  • M. Mattmüller (a cura di), Wirtschaft und Gesellschaft in Berggebieten, 1986
  • Le Alpi per l'Europa, 1988
  • L. Carlen, G. Imboden (a cura di), Wirtschaft des alpinen Raums im 17. Jahrhundert, 1988
  • Innerschweiz und frühe Eidgenossenschaft, 2 voll., 1990
  • J.-F. Bergier, S. Guzzi (a cura di), La scoperta delle Alpi, 1992
  • W. Danz, S. Ortner (a cura di), Die Alpenkonvention – eine Zwischenbilanz, 1993
  • Storia delle Alpi, 1-, 1996-
  • M. Körner, F. Walter (a cura di), Quand la montagne aussi a une histoire, 1996
  • J.-F. Bergier, Pour une histoire des Alpes, 1997
  • R. Ceschi (a cura di), Storia del Cantone Ticino, 2 voll., 1998
  • J. Mathieu, Geschichte der Alpen 1500-1900, 1998
  • Storia dei Grigioni, 3 voll., 2000
Storia naturale
  • M. Pellegrini, Materiali per una storia del clima nelle Alpi lombarde durante gli ultimi cinque secoli, 1974
  • R. Trümpy, An Outline of the Geology of Switzerland, 1980
  • W. Bätzing, Die Alpen: Naturbearbeitung und Umweltzerstörung, 19884
  • C. Pfister, Klimageschichte der Schweiz, 1525-1860, 19883
  • T.P. Labhart, Geologie der Schweiz, 19953
  • C. Pfister, Wetternachhersage, 1999
Preistoria e storia antica
  • L. Pauli, Die Alpen in Frühzeit und Mittelalter, 19812
  • A. Gallay, «La place des Alpes dans la néolithisation de l'Europe», in The Neolithisation of the Alpine region, a cura di P. Biagi, 1990, 23-42
  • M. Primas et al., Archäologie zwischen Vierwaldstättersee und Gotthard, 1992
  • P. Della Casa (a cura di), Ambiente, società ed economia preistorica nelle Alpi, 1999
  • P. Della Casa, Mesolcina praehistorica, 2000
Storia demografica e sociale
  • H. Bernhard et al., Studien zur Gebirgsentvölkerung, 1928
  • M. Bundi, Zur Besiedlungs- und Wirtschaftsgeschichte Graubündens im Mittelalter, 1982
  • F. Walter, Les campagnes fribourgeoises à l'âge des révolutions (1798-1856), 1983
  • M. Mattmüller, Bevölkerungsgeschichte der Schweiz, parte 1, 2 voll., 1987
  • L. Zanzi, E. Rizzi, I Walser nella storia delle Alpi, 1988
  • A. Zurfluh, Une population alpine dans la Confédération, 1988
  • P.P. Viazzo, Upland Communities, 1989
  • P. Dubuis, Une économie alpine à la fin du Moyen Age, 2 voll., 1990
  • U. Kälin, Die Urner Magistratenfamilien, 1991
  • Die Erhaltung der bäuerlichen Kulturlandschaft in den Alpen, 1992
  • B. Mesmer (a cura di), Der Weg in die Fremde, 1992
  • R. McC. Netting, In equilibrio sopra un'alpe, 1996 (inglese 1981)
Storia economica
  • H. Walter, «Bergbau und Bergbauversuche in den Fünf Orten», in Der Geschichtsfreund, 78, 1923, 1-107; 79, 1924, 79-180; 80, 1925, 69-172
  • H. Grossmann, Flösserei und Holzhandel aus den Schweizer Bergen bis zum Ende des 19. Jahrhunderts, 1972
  • H. C. Peyer, «Wollgewerbe, Viehzucht, Solddienst und Bevölkerungsentwicklung in Stadt und Landschaft Freiburg i.Ü. vom 14. bis 16. Jahrhundert», in Agrarische Nebengewerbe und Formen der Reagrarisierung im Spätmittelalter und 19./20. Jahrhundert, a cura di H. Kellenbenz, 1975, 79-95
  • G. Bloetzer, Die Oberaufsicht über die Forstpolizei nach schweizerischem Bundesstaatsrecht, 1978
  • F. Glauser, «Von alpiner Landwirtschaft beidseits des St. Gotthards 1000-1350», in Der Geschichtsfreund, 141, 1988, 5-173
  • J. Mathieu, Eine Agrargeschichte der inneren Alpen, 1992
  • T. Kuonen, Histoire des forêts de la région de Sion du Moyen-Age à nos jours, 1993
  • J.D. Parolini, Zur Geschichte der Waldnutzung im Gebiet des heutigen Schweizerischen Nationalparks, 1995
  • R. Sablonier, «Waldschutz, Naturgefahren und Waldnutzung in der mittelalterlichen Innerschweiz», in Schweizerische Zeitschrift für Forstwesen, 146, 1995, 581-596
Trasporti
  • Geschichte des mittelalterlichen Handels und Verkehrs zwischen Deutschland und Italien mit Ausschluss von Venedig, 2 voll., 1900 (19662)
  • W. Baumann, Der Güterverkehr über den St. Gotthardpass vor Eröffnung der Gotthardbahn, 1954
  • M.C. Daviso di Charvensod, I pedaggi delle Alpi occidentali nel medioevo, 1961
  • F. Glauser, «Der internationale Gotthardtransit im Lichte des Luzerner Zentnerzolles 1493-1505», in Rivista storica svizzera, 18, 1968, 177-245
  • W. Schnyder (a cura di), Handel und Verkehr über die Bündner Pässe im Mittelalter, 2 voll., 1973-1975
  • H. Hassinger, «Zur Verkehrsgeschichte der Alpenpässe in der vorindustriellen Zeit», in Vierteljahrschrift für Sozial- und Wirtschaftsgeschichte, 66, 1979, 441-465
  • J. Simonett, Verkehrserneuerung und Verkehrsverlagerung in Graubünden, 1986
  • G. Imboden et al. (a cura di), Kaspar Jodok von Stockalper, Handels- und Rechnungsbücher, 1o voll., 1987-1997
  • S. Brönnimann, «Die schiff- und flössbaren Gewässer in den Alpen von 1500 bis 1800», in Der Geschichtsfreund, 150, 1997, 119-178
  • A. Esch, Alltag der Entscheidung, 1998
  • L. Tissot, Naissance d'une industrie touristique, 2000
  • F. Glauser, «Handel und Verkehr zwischen Schwaben und Italien vom 10. bis 13. Jahrhundert», in Vorträge und Forschungen, 52, 2001, 229-239
Storia ecclesiastica, culturale e della mentalità
  • H. Büttner, I. Müller, Frühes Christentum im Schweizerischen Alpenraum, 1967
  • Helvetia Sacra, 10 voll., 1972-2007
  • Ars Helvetica, 13 voll., 1987-1993
  • H. Horat, L'architecture religieuse, 1988
  • F. Walter, La Suisse et l'environnement, 1990
  • F. Walter, «La montagne des Suisses», in Etudes rurales, 1991, n. 121/124, 91-107
  • G.P. Marchal, A. Mattioli (a cura di), Erfundene Schweiz, 1992
  • A. Niederer, Alpine Alltagskultur zwischen Beharrung und Wandel, 1993
  • A. Zurfluh, Un monde contre le changement: une culture au cœur des Alpes, 1993
  • P. Felder, Die Kunstlandschaft Innerschweiz, 1995
  • R. Ceschi, Nel labirinto delle valli, 1999
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Suggerimento di citazione

Jean-François Bergier; Margrit Irniger; Christian Pfister; Philippe Della Casa; François Wiblé; Florian Hitz; Hans Stadler; Anton Schuler; Ulrich Pfister; Thomas Busset; Fritz Glauser; Quirinus Reichen; Catherine Santschi; Enrico Castelnuovo; Heinz Horat; François Walter: "Alpi", in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 17.07.2013(traduzione dal tedesco). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/008569/2013-07-17/, consultato il 19.03.2024.