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Razionalismo

Il razionalismo, contrariamente all'empirismo, nella teoria della conoscenza designa una posizione che considera prioritario il pensiero puro rispetto all'esperienza sensoriale o che vede in esso addirittura l'unica via verso il sapere autentico. Il razionalismo presuppone l'esistenza di idee innate e si fonda sulla convinzione che il pensiero puro possa fornire una conoscenza, per quanto limitata, del mondo esterno attraverso una comprensione razionale (intuizione) della verità di alcuni principi, oppure attraverso la derivazione logica (deduzione) da altri principi. Il metodo deduttivo della matematica viene acquisito come modello e trova applicazione anche nelle scienze naturali e in altri ambiti all'epoca dell'Illuminismo. Il razionalismo classico e l'empirismo sono stati superati dalle categorie kantiane che elevarono la materia data dall'esperienza (percezione sensoriale) al rango di conoscenza generalmente valida e necessaria.

Nel XVII e XVIII sec. il razionalismo non rimase circoscritto alla gnoseologia, ma fu applicato anche ad altre discipline come l'etica o l'estetica. Nella Teologia il concetto di razionalismo nel XVII sec. acquisì in un primo tempo un senso polemico, riferito a teologi che per conoscere Dio o per interpretare la Bibbia si basavano sulla ragione naturale. In seguito i termini razionalista e razionalismo furono usati, per definire se stessi o il proprio pensiero, da quei teologi legati all'idea di una "religione naturale" che consideravano la Rivelazione solo un mezzo condizionato dalla storia per istruire la parte incolta della pop. Nella teol. prot. ted. il razionalismo venne dapprima chiamato "neologia" e dal 1790 designò una scuola, contrapposta all'ultrarazionalismo. Fu solo dopo aver perso importanza come movimento teol. che il concetto di razionalismo venne ridotto dalla storiografia filosofica a semplice definizione gnoseologica; oltre a essere applicato ai sistemi filosofici di Cartesio, Baruch Spinoza e Gottfried Wilhelm Leibniz, fu proiettato indietro fino all'antichità e al ME.

In Svizzera il razionalismo comparve in ambito teol. all'inizio del XVIII sec. nelle opere di Jean-Frédéric Ostervald (Neuchâtel), Samuel Werenfels (Basilea) e Jean-Alphonse Turrettini (Ginevra), considerati i principali esponenti della cosiddetta ortodossia razionale (Ortodossia protestante). Pur criticando i dibattiti della teol. scolastica, ebbero un atteggiamento apologetico nei confronti delle tendenze deiste e scettiche diffuse in Inghilterra e in Francia, difendendo la concordanza di fede e ragione e cercando di raggiungere un'unione fra luterani, rif. e anglicani attraverso l'abbandono di dogmi controversi come la doppia predestinazione o la trinità e un ritorno agli articoli fondamentali della Riforma. L'ortodossia razionale contribuì in tal modo in maniera decisiva all'abolizione della Formula Consensus del 1675, dapprima a Basilea e Ginevra, più tardi anche a Zurigo, nel Paese di Vaud e a Berna. E' considerata inesatta l'affermazione provocatoria di Jean Le Rond d'Alembert nel settimo volume dell'Encyclopédie, nella voce dedicata a Ginevra, secondo cui diversi pastori ginevrini non professavano in realtà altra religione se non quella dei sociniani, poiché negavano i miracoli e parlavano solo dell'utilità della Rivelazione, ma non della sua necessità. Come gli altri rif. sviz., i pastori ginevrini presero le distanze dal deismo e restarono convinti assertori della concordanza di ragione e Rivelazione. Più di altri fu lo zurighese Hans Heinrich Corrodi a sviluppare il razionalismo in teol. Allievo del neologo Johann Salomo Semler difese, in contrasto con Johann Kaspar Lavater, l'idea di una religione razionale. A suo parere il cristianesimo era sottoposto, nella sua evoluzione storica, a un processo di perfezionamento che andava dalla percezione sensoriale alla ragione. Corrodi ne concluse che la Rivelazione rimaneva necessaria per le persone che si trovavano ancora in uno stadio infantile, ma era superflua per i filosofi, capaci di cogliere la religione solo attraverso la ragione.

In Germania nel XVIII sec. il razionalismo di Leibniz fu proseguito da Christian Wolff, che, come il suo predecessore, affermava che tutte le verità si fondavano su due principi, quello della contraddizione (verità necessarie) e quello della ragione sufficiente (verità contingenti), che a loro volta potevano essere individuati a priori. Wolff applicò il metodo matematico deduttivo a tutti gli ambiti della filosofia e sviluppò il principio leibniziano della spiegazione razionale del mondo in un sistema coerente.

Tra i sostenitori della filosofia di Leibniz e di Wolff in Svizzera figurano Louis Bourguet ed Emer de Vattel. Nel trattato Défense du système Leibnitien [...] (1741) de Vattel prese le parti del sistema di Leibniz e Wolff contro la critica avanzata da Jean-Pierre de Crousaz nel suo Examen de l'essay de Monsieur Pope sur l'homme (1737). Contestò innanzitutto l'obiezione secondo cui il sistema distruggeva i fondamenti della morale e della religione, e difese i seguaci dei due filosofi dall'accusa di libertinismo e ateismo. Una difesa che non affrontava tanto problemi gnoseologici quanto la questione della conciliabilità del sistema razionalista con la libertà della volontà umana e l'assenza di responsabilità di Dio per il male nel mondo. De Crousaz aveva contestato entrambi gli elementi rimproverando al sistema di Leibniz e di Wolff il suo fatalismo. La sua critica tuttavia non era rivolta a ogni forma di razionalismo: egli stesso fu un convinto sostenitore della filosofia di Cartesio, su cui basò i suoi testi di matematica e fisica. Sebbene la filosofia wolffiana fosse ampiamente diffusa nella Svizzera ted., il razionalismo di stretta osservanza non vi trovò numerosi sostenitori. Johann Jakob Bodmer e Johann Jakob Breitinger, pur riconoscendo il loro debito nei confronti di Wolff, nel quadro della disputa letteraria fra Zurigo e Lipsia si distinsero per il loro atteggiamento critico verso l'estetica strettamente razionalista del wolffiano Johann Christoph Gottsched. Johann Georg Sulzer, allievo di Bodmer e docente all'Acc. di Berlino, fu esponente di una forma moderata dell'estetica razionalista di stampo wolffiano.

Nella sua accezione gnoseologica il concetto di razionalismo sopravvive ancora oggi, ma in genere non è più usato per definire una scuola di pensiero. Fa eccezione il razionalismo critico, fondato negli anni 1930-40 da Karl Popper e sviluppato da Hans Albert. Partendo dalla tesi secondo cui ogni conoscenza è fallibile, quest'ultimo si oppose a tutte le forme di dogmatismo, cercando una via mediana tra positivismo e scetticismo e postulando una società aperta, in cui i conflitti possano essere risolti con la discussione razionale. In Svizzera esercitò un certo influsso anche sulle scienze sociali, politiche ed economiche della seconda metà del XX sec.

Riferimenti bibliografici

  • Encyclopédie philosophique universelle, II/2, 1990, 2159-2162
  • Historisches Wörterbuch der Philosophie, 8, 1992, 44-47 (con bibl.)
  • M.-C. Pitassi, De l'Orthodoxie aux Lumières: Genève 1670-1737, 1992
  • S. Zurbuchen, «Die schweizerische Debatte über die Leibniz-Wolffsche Philosophie und ihre Bedeutung für Emer von Vattels philosophischen Werdegang», in Reconceptualizing Nature, Science, and Aesthetics, a cura di P. Coleman et al., 1998, 91-113
  • R. Dellsperger, «Der Beitrag der "vernünftigen Orthodoxie" zur innerprotestantischen Ökumene», in Kirchengemeinschaft und Gewissensfreiheit, a cura di R. Dellsperger, 2001, 51-65 (con bibl.)
  • A. Lütteken, B. Mahlmann-Bauer (a cura di), Johann Jakob Bodmer und Johann Jakob Breitinger im Netzwerk der europäischen Aufklärung, 2009
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Suggerimento di citazione

Simone Zurbuchen: "Razionalismo", in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 16.12.2011(traduzione dal tedesco). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/017452/2011-12-16/, consultato il 29.03.2024.