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Manifestazioni

Per i gruppi che dispongono di poche risorse e una limitata influenza nei processi decisionali politici, le manifestazioni – intese come dimostrazioni collettive organizzate in aree pubbliche – rappresentano uno strumento privilegiato per esporre e divulgare i propri obiettivi politici. Dato che implicano un uso comune accresciuto del suolo pubblico, sono di norma soggette ad autorizzazione. La Costituzione federale non garantisce in modo esplicito la libertà di manifestare. Secondo due sentenze emesse dal Tribunale federale (1970 e 1973) questo diritto discende dalla libertà di parola e di riunione (diritti umani).

La classica dimostrazione pacifica di piazza si sviluppò nel XIX secolo a partire da tre forme tradizionali di manifestazione, che presentano tratti comuni: in primo luogo dagli "assembramenti di massa" dei cortei dimostrativi spontanei nell'ambito delle rivolte cittadine e delle rivolte contadine; in secondo luogo dalle assemblee popolari tenute nel periodo della Rigenerazione (tra cui l'Ustertag del 1830) e convocate dal movimento democratico negli anni 1860; e infine dalle dimostrazioni religiose o profane di carattere rappresentativo (processioni e cortei).

Le manifestazioni di piazza tenute in forma ordinata, su iniziativa di gruppi organizzati, si svilupparono alla fine del XIX secolo nell'ambito del movimento operaio in un clima di tensione, diviso tra repressione esterna (da parte della polizia e delle forze militari) e disciplinamento interno. Particolare importanza ebbero le manifestazioni di solidarietà organizzate in occasione di scioperi (150 tra il 1880 e il 1914, con fino a 10'000 partecipanti) e i cortei del primo maggio (dal 1890). I servizi organizzativi prestavano particolare attenzione a uno svolgimento disciplinato e dignitoso, che attestasse le loro capacità di mantenere l'ordine. L'attività dimostrativa giunse al culmine verso la fine della prima guerra mondiale, con le manifestazioni femminili contro il rincaro, le marce contro la guerra e lo sciopero generale del 1918. Nel periodo compreso tra le due guerre – il meno indagato dalla ricerca storica sotto questo punto di vista – le dimostrazioni restarono in gran parte appannaggio della sinistra; tra le non frequenti eccezioni, la "marcia su Berna" dei contadini nel 1928 e le sfilate dei gruppi frontisti.

Nel secondo dopoguerra le manifestazioni furono utilizzate come mezzo di espressione politica non solo dalla sinistra tradizionale ma spesso anche da organizzazioni contadine (ad esempio nel 1954, 1961 e 1996) e talvolta da altre cerchie, in particolare borghesi (crisi di Ungheria nel 1956, invasione sovietica in Cecoslovacchia nel 1968), e più tardi da ambienti della destra borghese (manifestazione contro l'Unione europea, 1995). Lo strumento della manifestazione fu però impiegato, con fini ecologisti, pacifisti o di solidarietà internazionale, soprattutto dai nuovi movimenti sociali (contro la centrale elettrica di Rheinau, 1952; marce pasquali rispettivamente di Pentecoste dei movimenti antinucleari tra il 1963 e il 1966 e negli anni 1970 e del movimento pacifista negli anni 1980). Dopo il 1968 il numero di manifestazioni aumentò. Con il movimento del 1968 (rivolte giovanili) mutarono le modalità di espressione e di intervento delle manifestazioni (ad esempio con azioni dirette, sit-in, happening). Le attività di protesta pubblica raggiunsero l'acme all'inizio degli anni 1980, in particolare con la manifestazione di Berna contro la doppia decisione della NATO (1983), alla quale parteciparono 40'000 persone. Da allora si è delineata una tendenza a manifestare su temi di politica sociale o sulla situazione politica delle donne (sciopero delle donne, 1991); sono aumentate anche le dimostrazioni di stranieri contro la situazione precaria dei diritti umani nei loro Paesi di origine.

Alle manifestazioni autorizzate sovente si accompagnarono dimostrazioni spontanee e atti di violenza, in cui tra l'altro ebbe un ruolo importante la dottrina d'impiego delle forze dell'ordine. In varie occasioni gli interventi della forza pubblica (servizio d'ordine dell'esercito) provocarono anche vittime (disordini zurighesi del novembre 1917, sparatoria di Ginevra). Tumulti di una certa entità ebbero luogo in occasione delle cosiddette manifestazioni a favore dell'epurazione degli attivisti nazisti, seguite alla seconda guerra mondiale. Si rese necessario l'impiego della forza anche sull'onda dei disordini del Globus a Zurigo (1968), nell'ambito del movimento degli autonomi (dagli anni 1980), in occasione di proteste contadine e di pubbliche contestazioni della globalizzazione (World Economic Forum a Davos, 2000 e 2001). In tali contesti talvolta vennero varate restrizioni del diritto di manifestare, e alcuni cantoni vietarono le sfilate a volto coperto.

Riferimenti bibliografici

  • H. Kriesi et al. (a cura di), Politische Aktivierung in der Schweiz 1945-1978, 1981
  • Gruner, Arbeiterschaft
  • B. J. Warneken (a cura di), Massenmedium Strasse, 1991
  • A. Würgler, Unruhen und Öffentlichkeit, 1995
  • J. Barranco, Au-delà des slogans, 1997
  • M. Giugni, F. Passy, Histoires de mobilisation politique en Suisse, 1997
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Suggerimento di citazione

Ruedi Brassel-Moser: "Manifestazioni", in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 29.03.2005(traduzione dal tedesco). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/016547/2005-03-29/, consultato il 29.03.2024.