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Beni comuni

Con il termine "beni comuni" si designano i Pascoli, i Boschi e i terreni incolti destinati allo sfruttamento economico collettivo da parte dei membri di una comunità - costituita da uno o più Villaggi, nuclei o insediamenti - che godono di questo diritto. Nell'ambito di un modello di economia rurale basata sull'Avvicendamento delle colture, i beni comuni rappresentavano il terzo tipo di zona giur.-economica, accanto ai campi coltivati e alle aree abitative con cortili e giardini.

Origine, significato e forma

La storia del diritto, dalla fine del sec. scorso fino al recente passato, ha sviluppato tesi controverse sulla datazione delle prime forme di beni comuni. Da un lato, i fautori della cosiddetta teoria della comunità di Marca, basandosi su fonti storiche classiche (Cesare) e sullo studio delle Leggi germaniche (ad esempio della lex Salica) ne facevano risalire le origini al tempo degli antichi Germani: i terreni occupati dalle centurie germ. sarebbero stati inizialmente gestiti collettivamente, mentre solo in un secondo tempo, con la scomparsa delle tribù, sarebbe subentrato l'uso privato, dapprima nelle curtes poi nell'intera campagna. In base a questa ipotesi, i beni comuni sarebbero l'unica forma di gestione collettiva rimasta prerogativa dei villaggi, cioè delle comunità di marca. I beni comuni sorti in territorio sviz. a partire dal XIII sec. - designati frequentemente, soprattutto negli Ordini, come marca com. (Gemeinmark) - costituirebbero una testimonianza delle comunità di marca altomedievali, di cui la forma giur. del villaggio bassomedievale rappresenterebbe uno sviluppo. Gli storici che si opponevano a questa teoria ritenevano invece che la gestione individuale dei fondi avesse preceduto quella collettiva. Solo in seguito ai Dissodamenti effettuati nel tardo ME sarebbe sorta l'esigenza di limitare e quindi regolamentare sia il numero di coloro che potevano usufruire dei beni comuni, fino ad allora sfruttati in modo assai estensivo, sia la stessa superficie coltivabile. Questa tesi è suffragata da recenti studi sugli insediamenti e in materia di economia e società, secondo cui il villaggio in grado di organizzare collettivamente la gestione del territorio è un fenomeno del basso ME, mentre nell'alto ME risultavano dominanti le strutture insediative costituite da gruppi di fattorie e frazioni, spesso di natura precaria, oltre alla gestione individuale della terra.

I beni comuni rivestirono un ruolo di fondamentale importanza per l'Allevamento del bestiame fino all'introduzione della stabulazione estiva. Oltre che nei prati e nei campi di stoppie, gli animali - spec. i maiali, che erano i principali fornitori di carne nel ME e venivano ingrassati in autunno con ghiande e faggiole - pascolavano anche nelle foreste. I boschi fornivano inoltre legname da costruzione e da ardere, frutti, bacche e funghi che permettevano di completare l'alimentazione e, nei periodi di carestia, garantivano la sopravvivenza della pop. I beni comuni hanno inoltre sempre avuto la funzione di riserva di terreno cui si poteva ricorrere in caso di necessità.

Finché nell'alto ME vi furono sufficienti riserve di terra, i confini tra le aree destinate alla campicoltura e i beni comuni non furono netti, in quanto questi ultimi potevano, almeno temporaneamente, essere arati. L'utilizzo dei beni comuni risultava quindi discrezionale e libero; eventuali conflitti venivano regolati tramite intese fra vicini. Divergenze nel regime di sfruttamento erano determinate dal diverso grado di ingerenza della signoria fondiaria nelle regioni alpine e dell'Altopiano, poiché in queste ultime l'uso dei beni comuni poteva essere regolato dai signori fondiari stessi. Nel corso dei dissodamenti effettuati nel basso ME si ricorse sempre più frequentemente alle riserve di terra dei beni comuni, parte dei quali venne definitivamente sottratta alla gestione collettiva, come attesta l'insediamento di corti sulle terre collettive: a Olivone, ad esempio, la maggior parte dei beni comuni risultava lottizzata ed era destinata allo sfruttamento privato già all'inizio del XIII sec.

Il generale processo di delimitazione territoriale dei beni comuni rispetto a zone destinate ad altri usi e di riduzione del numero e della libertà di utilizzo degli aventi diritto si svolse per gradi, sul piano sia regionale sia cronologico. Nell'Altopiano i beni comuni vennero definitivamente separati dalle aree coltivate nel XII e XIII sec., dunque nel periodo di maggiore sviluppo agricolo del pieno ME, in cui la forma insediativa del villaggio si era fatta più forte e si stava imponendo la tecnica dell'avvicendamento delle colture. Il numero degli aventi diritto fu sottoposto a restrizioni a partire dalla metà del XV sec., quando, dopo la crisi del tardo ME, si profilò una ripresa demografica ed economica. Sovente il diritto all'utilizzo dei beni comuni veniva concesso a coloro che possedevano da tempo una fattoria nel territorio della comunità rurale. Gli immigrati dovevano acquistare tale diritto mediante il pagamento di una tassa iniziale. In questo periodo, l'area di sfruttamento venne progressivamente ridotta, spec. nelle zone boschive. Nel corso del XIV sec. nelle Alpi e Prealpi si era già verificato un processo analogo, connesso tra l'altro alla specializzazione in atto nell'allevamento del bestiame, sempre più orientato verso il mercato. In quest'area era molto diffuso il cosiddetto regime di svernamento, secondo cui ogni contadino poteva far pascolare nei beni comuni un numero di animali pari a quello che era in grado di mantenere durante l'inverno.

Mutamenti all'inizio dell'età moderna e dissoluzione

In genere all'inizio dell'età moderna i villaggi di tutte le Zone agrarie disponevano ancora di beni comuni, che costituivano una parte integrante di qualsiasi tipo di economia agricola. I contadini della cosiddetta fascia cerealicola (Kornland) necessitavano dei pascoli comuni per garantire il nutrimento agli animali da tiro: buoi e cavalli si nutrivano soprattutto su questi prati, poiché le riserve di fieno bastavano solo per poche settimane. Si pascevano nei beni comuni pure le vacche nutrici e da latte - anch'esse spesso usate quali animali da tiro - e il bestiame minuto (pecore, capre, maiali). Nella regione alpina, dove l'allevamento e l'economia lattiera erano più importanti, i beni comuni venivano utilizzati per il pascolo non solo in estate, ma durante tutto l'anno. Anche molte foreste erano beni comuni, per i quali gli ab. dei villaggi dovettero frequentemente stabilire severe regole di utilizzo.

Con la crescita demografica dell'inizio dell'età moderna i beni comuni divennero scarsi. Nel corso del XVI e XVII sec. nella fascia cerealicola aumentarono le misure adottate sul piano com. per l'attribuzione dei diritti d'uso, che venivano assegnati secondo i seguenti criteri: possesso di un terreno (privato o collettivo) all'interno di zone recintate attorno ai villaggi, possesso di una casa (comunità abitativa) oppure numero di persone o fam. (comunità di persone). In base a uno di questi punti si definiva il numero di animali che un ab. del villaggio poteva far pascolare nei beni comuni. Tale diritto - designato con un termine particolare (per lo più Gerechtigkeit, nel cant. Berna anche Rechtsame) - era un importante elemento costitutivo del diritto di cittadinanza (Comune). La concessione dei diritti di pascolo dipendeva dalla stima del carico totale di pascolazione tollerabile per un territorio com. In alcune regioni, tale stima era preceduta dalla valutazione del carico massimo dei beni comuni (Seyung). Ciononostante, i conflitti erano frequenti, ad esempio tra i proprietari di bestiame grosso o minuto. Gli agricoltori dell'epoca illuminista, nel XVIII sec., si lamentavano inoltre per lo stato di trascuratezza dei beni comuni, spesso in abbandono. Un'analoga evoluzione si era manifestata in precedenza anche nell'uso dei boschi collettivi: spec. a partire dalla seconda metà del XVI sec., molti com. iniziarono a emanare disposizioni sullo sfruttamento delle risorse forestali, sempre più rare.

Il frazionamento dei beni comuni produsse un profondo mutamento nella storia della proprietà rurale e dello sfruttamento della terra. Esso rappresentava in un certo senso l'ultima fase del secolare processo di passaggio dalla proprietà collettiva a quella privata. Le prime lottizzazioni di beni comuni nelle Prealpi sono documentate a partire dal XV sec. (ad esempio nell'Emmental); si intensificarono nel corso del XVI e XVII sec. - soprattutto in forma di ripartizioni parziali - e si estesero anche alla fascia cerealicola. Casi di smembramento totale sono finora noti solo per la zona di transizione nordalpina (Altopiano superiore e Prealpi).

Nel XVIII sec. il conflitto attorno ai pascoli comuni si acuì, in quanto i Tauner li utilizzavano soprattutto per il bestiame minuto, mentre i contadini medi e grossi vi facevano pascolare gli animali da tiro. Il fabbisogno alimentare del ceto basso della comunità rurale si scontrava quindi con gli interessi dei coltivatori di cereali. Di fronte a questo problema, gli agronomi dell'Illuminismo si impegnarono a favore del frazionamento dei beni comuni (Rivoluzione agricola). Nell'ambito di un concorso bandito dalla Soc. bernese di economia vennero premiati i contributi di un parroco e di un gentiluomo di campagna che auspicavano la suddivisione dei beni comuni in nome di una migliore cura dei prati e di un migliore foraggiamento del bestiame sia grosso sia minuto. Nonostante queste controversie, i beni comuni rimasero pressoché intatti durante l'ancien régime. Nel corso della prima età moderna, però, nei villaggi si era progressivamente affermato l'uso di assegnare agli indigenti parcelle di terra coltivabile all'interno dei beni comuni, persino nei boschi. Tali diritti d'uso potevano avere carattere temporaneo o duraturo.

Le modifiche legislative a livello com. introdotte dalla Repubblica elvetica segnarono l'inizio di una nuova fase nella storia dei beni comuni. Con la scissione dell'organizzazione municipale in com. politico e patriziale, i beni comuni rimasero proprietà del secondo. Da quel momento, il diritto di utilizzarli, ad esempio di raccogliervi la legna, rimase prerogativa dei patrizi, oppure veniva venduto allo scopo di ottemperare agli obblighi sociali. Questa forma di beni comuni si è mantenuta fino ai nostri giorni, sebbene in molte regioni l'estensione delle proprietà terriere dei com. patriziali sia diminuita.

Riferimenti bibliografici

  • HWSVw, 1, 38-43
  • K. S. Bader, Studien zur Rechtsgeschichte des mittelalterlichen Dorfes, 3 voll., 1957-1973, spec. vol. 1, 116-182, 2, 47-51, 57-64; 3, 296-298
  • F. Häusler, Das Emmental im Staate Bern bis 1798, 2, 1968
  • HRG, 1, 108-120
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  • D. Rogger, Obwaldner Landwirtschaft im Spätmittelalter, 1989, 49-58, 266-270
  • R. Sablonier, «Innerschweizer Gesellschaft im 14. Jahrhundert», in Innerschweiz und frühe Eidgenossenschaft, 2, 1990, 64, 91-99
Link

Suggerimento di citazione

Martin Leonhard; Markus Mattmüller: "Beni comuni", in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 17.05.2001(traduzione dal tedesco). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/013704/2001-05-17/, consultato il 19.03.2024.